Di Danilo Gullotto

In ragione della gravità senza precedenti con cui si è manifestata la recente alluvione che ha devastato intere aree dell’Emilia Romagna, pare che finalmente anche in Italia inizi ad apparire qualche barlume capace di illuminare il sentiero che dovrebbe condurre la nostra classe politica verso la consapevolezza sul modo in cui il cambiamento climatico sta impattando sul destino delle popolazioni umane. Infatti, stando anche alle dichiarazioni del Governatore della Regione Sicilia Nello Musumeci, bisognerebbe ormai chiederci non tanto se una futura calamità di simili proporzioni potrà nuovamente verificarsi, ma dove e quando questa potrà incombere. Sarà altresì interessante constatare se, alla luce di eventuali futuri episodi come quelli recentemente accaduti, la politica continuerà ad additare come criminali quegli attivisti e quelle attiviste del clima che con i loro pseudo imbrattamenti e le loro forme di disobbedienza civile cercano in tutti modi di sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica in merito alle conseguenze generate dagli sconvolgimenti climatici. Infatti, continuando di questo passo, la società civile potrebbe finalmente realizzare che le pseudo deturpazioni messe in atto da movimenti come Ultima Generazione sarebbero da considerarsi metaforicamente come lo schiaffo dato da un genitore al proprio figlio, onde evitare che questi possa cacciarsi in guai ancora più severi e provocare danni irreversibili. Se così fosse, certa politica potrebbe tentare ulteriori colpi di coda nel persuaderci a mantenere lo status quo energivoro a tutela degli interessi economici di quei gruppi di potere dominanti che appaiono nella sostanza ancora oggi pressoché indifferenti alle tematiche ambientaliste.

 tando alle prime stime ufficiose, oltre alle 15 vittime registrate e ai quasi 40 mila sfollati, la recente alluvione in Emilia Romagna dovrebbe aver provocato danni per circa 7 miliardi di euro, l’esondazione di 23 fiumi, la chiusura di 544 strade, sia comunali che provinciali, l’interruzione di numerose tratte ferroviarie, nonché più di 280 frane, interessando oltre 100 comuni presenti sul territorio. A tutto questo si aggiungono conseguenze che travalicano i confini della regione e si ripercuotono sull’intero territorio nazionale, come la prevista diminuzione del 20% della produzione di frutta destinata ai mercati, a causa dei danni provocati a circa 10 milioni di alberi, con conseguente rincaro dei corrispondenti prodotti alimentari [2].

Non ostante gli effetti del cambiamento climatico appaiano ormai tangibili a chiunque, e trascurando le ovvie ottusità dei negazionisti climatici e dei gruppi di potere che difendono gli interessi economici delle imprese energivore, pare che, tuttavia, ancora larga parte della società civile rimanga refrattaria all’idea che possa sussistere una relazione tra gli sconvolgimenti climatici in atto e il modo di produzione del modello neoliberista. Di conseguenza, pare persista una pesante inerzia che ostacola un cambio di paradigma verso gli attuali modelli di consumo e di comportamento sociale, affidandosi ancora una volta alla speranza che gli attuali problemi ambientali possano venire risolti proprio da coloro che per primi li hanno provocati, e sperando quindi di non dovere intaccare la nostra forma mentis su come dovrebbe funzionare l’economia e la società.

Sebbene possa sembrare che l’impatto di questi eventi climatici sull’economia stia iniziando solo adesso a manifestarsi in tutta la sua preoccupante gravità, già da diversi anni autorevoli studi cercano di mettere in relazione le variabili climatiche con quella econometriche.  Ne rappresenta un esempio quello recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS, recante il titolo “Climate change and the nonlinear impact of precipitation anomalies on income inequality”, e realizzato dai ricercatori Elisa Palagia, Matteo Coronesea, Francesco Lampertia e Andrea Roventinia [3]. In questo studio si discute di come le anomalie meteorologiche, come inondazioni e siccità e cambiamenti di temperatura, abbiano un impatto negativo sulle economie del pianeta. Infatti, le precipitazioni contribuiscono ad aumentare la disparità di reddito tra i Paesi. La natura specifica e l’entità di tale impatto dipendono dalla natura dell’attività agricola nell’economia. Le condizioni meteorologiche anormali che danneggiano l’agricoltura nei Paesi ad alta intensità agricola portano a redditi più bassi e a una maggiore disparità di reddito per i segmenti più poveri della società, con una maggiore disparità di reddito caratteristica delle economie ad agricoltura intensiva più marcata, specialmente in Africa. Nella loro analisi, gli scienziati adottano un approccio che considera le differenze nei modelli di precipitazioni, così come la variabilità della temperatura, come un potenziale contributo all’aumento della disparità di reddito tra i Paesi. Vengono utilizzati meccanismi economici comunemente stabiliti per l’uso della ricerca [4, 5]. La loro ipotesi è che l’effetto delle precipitazioni anomale sulla distribuzione del reddito sia influenzato dall’intensità dell’agricoltura in un Paese, data la percentuale di lavoro impiegato in agricoltura rispetto alla misurazione della forza lavoro totale. Se le precipitazioni influiscono sul reddito agricolo più del reddito non agricolo e gli individui a basso reddito dipendono principalmente dal reddito agricolo, allora le anomalie climatiche possono contribuire ad ampliare le disparità di ricchezza nei Paesi con una maggiore intensità agricola, considerando simultaneamente i livelli di reddito all’interno e tra i Paesi in relazione al cambiamento climatico, fornendo un quadro completo dell’impatto delle variazioni climatiche sulla diversità di reddito. Le stime ottenute mostrano una relazione non lineare a forma di U rovesciata tra precipitazioni e aumento del PIL agricolo in località internazionali con elevata profondità agricola. Inoltre, gli intervalli di precipitazioni estreme corrispondono a scarsi costi di crescita del reddito agricolo, in particolare nei Paesi ad agricoltura estensiva dove dominano l’agricoltura pluviale e di piccole dimensioni. Considerando che i percettori di reddito in aree internazionali ad alto spessore agricolo dipendono strettamente dal sostentamento legato all’economia agricola, le anomalie climatiche possono ampliare il divario tra i ricchi e i poveri.   Prove convincenti suggeriscono che il cambiamento climatico avrà effetti negativi sulle economie e sulle società, influenzando negativamente la crescita economica e lo sviluppo nei paesi a basso reddito. Infatti, è noto che individui relativamente poveri, soprattutto quelli che vivono in climi tropicali, sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici. D’altra parte, l’impatto degli shock climatici varia ampiamente tra i settori economici, con importanza diversa tra Paesi a diverso stadio di sviluppo. L’agricoltura è intrinsecamente sensibile al clima e subisce significative perdite di rendimento nonostante gli sforzi di adattamento, e queste perdite possono avere effetti persistenti in tutta la macroeconomia. Tuttavia, le disparità climatiche sono spesso trascurate come potenziale motore della disparità di reddito. Le famiglie che vivono in aree del mondo in cui l’agricoltura rappresenta la principale fonte di reddito, non solo possono trovarsi in aree soggette a inondazioni, che sono altamente vulnerabili alla siccità, ma dipendono anche pesantemente dal reddito dell’agricoltura pluviale.  Nel complesso, è probabile che la maggior parte dei Paesi registrerà un peggioramento dei livelli di disparità di reddito come conseguenza di questa disparità climatica. Quando si considera l’effetto della temperatura sull’economia, si prevede che l’86% dei Paesi analizzati nello studio avrà un PIL inferiore rispetto a una proiezione che presuppone un clima regolare. Alcuni Paesi sperimenteranno un calo assoluto del PIL (5), anche se si prevede che le economie russe e scandinave aumenteranno il loro PIL [5-7]. Ad esempio, nell’Africa subsahariana, le proiezioni del caso peggiore suggeriscono che gli stock di reddito del 50% più povero potrebbero diminuire di oltre il 10% a causa dei cambiamenti nelle precipitazioni. Le proiezioni suggeriscono una massiccia crescita della disuguaglianza mondiale, misurata mediante l’indice di Gini, di circa il 24%. Altri dati dimostrano invece che perseguire una direzione sostenibile dell’industrializzazione verso basse emissioni di carbonio sarà un metodo promettente per mitigare gli impatti associati alla temperatura e alle precipitazioni sul commercio dipendente dal clima. I ricercatori fanno anche notare che, sebbene la crescita e l’industrializzazione nelle nazioni a vocazione agricola potrà ridurre la loro vulnerabilità alle conseguenze delle precipitazioni, un percorso di miglioramento basato sui combustibili fossili supererebbe tuttavia qualsiasi vantaggio derivante dai cambiamenti strutturali.  In conclusione a questo studio, le valutazioni della connessione tra anomalie climatiche, reddito misto e distribuzione dei profitti in un modello mondiale di nazioni, applicando strategie econometriche comunemente utilizzate negli studi di economia meteorologica, hanno consentito di individuare andamenti non lineari tra precipitazioni e redditi per le fasce di popolazione più povere. Gradi estremi di precipitazioni, troppo bassi o troppo alti, hanno peggiorato la disparità di profitti all’interno delle località internazionali. Queste influenze sono state particolarmente estreme nei paesi strettamente dipendenti dal settore primario, mentre i Paesi più evoluti hanno subito conseguenze più modeste. Le proiezioni implicano che le future anomalie climatiche aggraveranno ulteriormente la disuguaglianza dei profitti globali, in particolare tra le località internazionali con un’eccessiva intensità agricola. Affrontare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi dovrebbe essere una preoccupazione specie per i Paesi più esposti all’alternanza climatica, poiché questi fattori si intersecano tra loro e si aggravano a vicenda.

Nel voler fornire valutazioni di carattere ancor più generale sull’impatto che il cambiamento climatico potrebbe avere sulla qualità della vita, il lavoro e la sicurezza alimentare delle popolazioni, è senz’altro degno di nota un report sullo sviluppo sostenibile globale, recante il titolo “Governance of Economic Transition, pubblicato già nel 2019 e redatto da un gruppo indipendente di scienziati [8]. In questo report, gli studiosi ci mettono in guardia sul fatto che il declino degli ecosistemi naturali sta subendo una accelerazione maggiore di quanto ci si aspettasse in passato, non solo a causa delle emissioni climatiche, ma anche della pressione antropica. Stando alle valutazioni di questi scienziati, tanto l’attuale modello economico, quanto i tradizionali meccanismi di decisione politica, si rivelerebbero ormai inadeguati nel consentire la ratifica di misure capaci di contrastare efficacemente la minaccia climatica. Infatti, considerato che le attuali teorie economiche dominanti si siano sviluppate in periodi di abbondanza di energia e di materiali, pare risulti improbabile che queste teorie medesime possano fornire risposte adeguate per affrontare le sfide del nostro tempo, senza altresì generare ulteriori disparità tra i redditi delle popolazioni. Sarebbe pertanto necessario rimodellare tanto i paradigmi economici quanto quelli politici per consentire di intraprendere misure come l’abbattimento del consumo basato sui combustibili fossili, l’utilizzo di soluzioni alternative per la mobilità e i tra trasporti, il ripensamento delle modalità attraverso cui viene distribuito il cibo nelle varie regioni del pianeta, l’utilizzo di materiali più sostenibili per la costruzione delle abitazioni. Quindi, il rapporto in questione afferma che simili soluzioni non potrebbero venire trovate nel caso in cui l’attuale sistema di mercato venga lasciato a briglia sciolte, ma occorre altresì un solido e proattivo intervento della governance politica, in modo da consentire l’avallo di progetti innovativi che altrimenti non susciterebbero l’attenzione del mercato, dal momento che i suddetti progetti non perseguono il fine del profitto. Bisognerebbe pertanto rinunciare all’idea di crescita economica, diminuire il nostro potere d’acquisto, e orientarsi alla costruzione di infrastrutture che dovranno accompagnarci lungo una transizione che porta ad un mondo finalmente libero dall’energia fossile. Solo in questo modo sarebbe possibile, secondo il giudizio degli scienziati, garantire lavoro, sicurezza alimentare e sostenibilità alle future popolazioni umane. Sebbene si riconosca che non esistano ricette infallibili, gli studiosi che hanno redatto il report auspicano che, su di un piano squisitamente politico, l’onere della transizione energetica venga lasciata nelle mani di governi progressisti, quelli cioè indirizzati storicamente verso l’attuazione di larghi investimenti pubblici.

A riprova di quanto paventato dal suddetto report circa l’incapacità dell’economia e della politica di far fronte ai problemi climatici, vi è la recente notizia riportata dal Fatto Quotidiano sul buco nero della finanza climatica, in cui il denaro stanziato col presunto intento di fronteggiare le avversità climatica risulta fortemente sottodimensionato nel suo utilizzo e quello che viene speso viene veicolato nel sistema del credito finanziario causante l’ulteriore indebitamento dei Paesi in via di sviluppo, oppure, ancor peggio, viene utilizzato per attività che non hanno niente a che vedere col clima o che addirittura lo danneggiano [9].

In conclusione, quanto viene appreso da questi studi ci suggerisce che l’attuale modello di sviluppo economico pare ormai in procinto di entrare in un circolo vizioso in cui l’aumento della produzione a scopo di profitto sta finendo per accrescere l’impatto degli effetti climalteranti sul modello stesso, provocando un peggioramento nella diseguaglianza dei redditi e un inasprimento dei parametri ambientali, senza contare gli effetti immediati che le devastazioni climatiche hanno sul destino di intere popolazioni, come nel caso di alluvioni che causano vittime, migrazioni e sfollamenti di massa. Volendo revisionare quella nota parodia degli slogan dei cittadini contro i poteri costituiti, sarebbe davvero il caso di affermare adesso: “Piove, neoliberismo ladro!”

 

[1]       https://www.agi.it/cronaca/news/20230524/maltempo_emilia_romagna_prima_stima_danni_sette_miliardi21529335/#:~:text=AGI%20%2D%20Oltre%207%20miliardi%20di,civile%20impegnati%20giorno%20e%20notte

[2] https://www.repubblica.it/cronaca/2023/05/22/news/alluvione_emilia_romagna_strage_frutta_allevamenti-401188242/?ref=RHLF-BG-I401220653-P6-S1-T1

[3] https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2203595119

[4] https://scholar.harvard.edu/files/dell/files/aej_temperature.pdf

[5] https://www.nature.com/articles/nature15725

[6] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0095069620300838

[7] https://www.nature.com/articles/s41558-018-0282-y

[8] https://bios.fi/en/economic-transition-governance-a-scientific-background-document-to-the-un-global-sustainable-development-report-2019/

[9] https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/06/06/centrali-a-carbone-gelaterie-film-damore-i-fondi-mondiali-per-il-clima-sono-un-buco-nero-contabilita-ingannevole-gli-aiuti-reali-un-quarto/7184263/

 

 

 

 

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