Di Raúl Zibechi
Il sistema capitalista è profondamente dipendente dai combustibili fossili ed è in agricoltura che quella dipendenza è decisiva. Quelli che sono in alto lo sanno, non possono e non vogliono sbarazzarsi del fossile: per questo promuovono una transizione energetica con cui consolidarsi in un periodo caos climatico. In questo senso, il capitalismo, scrive Raúl Zibechi, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo
Il capitalismo starebbe promuovendo una transizione energetica per consolidarsi in un periodo di crisi e caos climatico che può minacciare la sua [presunta] legittimità. In questo senso, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo, fingendo che il sistema condivida alcuni aspetti delle lotte femministe e di quelle dei popoli oppressi, con l’obiettivo di ritagliarsi un piccolo settore di fedeli che si incastonano al vertice della piramide del sistema.
Il recente Summit Mondiale sul Clima (COP 28), tenutosi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, ha dimostrato che promuovere la cura del clima e la transizione verso le energie rinnovabili è profondamente ipocrita quando l’evento si tiene in un paese dipendente dai combustibili fossili e l’amministratore delegato della National Oil Company viene nominato presidente della COP. Come sottolinea GRAIN, la COP è sembrata più un evento commerciale che un vertice intergovernativo sul clima: un incontro simile al Forum di Davos, dove si incontrano i miliardari. GRAIN aggiunge che i lobbisti dell’industria dei combustibili fossili e della carne hanno raggiunto il numero record di 2.756 persone che hanno riempito le sale e i corridoi (“La COP del clima se convierte en otra Davos”). E conclude che la COP è stata catturata dalle multinazionali del cibo e dell’agroindustria e che tutte le sue dichiarazioni sono vuote, mere pantomime e propaganda ad uso e consumo di un pubblico sprovveduto, che purtroppo non è piccolo e abbonda anche nelle organizzazioni che affermano di essere ambientaliste. È un peccato che ci siano ancora movimenti sociali che conferiscono credibilità a questi incontri e addirittura partecipano a questi eventi rivestendoli di una discutibile legittimità.
Penso che dobbiamo capire che il capitalismo realmente esistente è profondamente dipendente dai combustibili fossili, che gli Stati Uniti, in quanto nucleo centrale del capitalismo, sono intrinsecamente dipendenti dal petrolio e dal gas, e che non possono e non vogliono sbarazzarsene. In effetti, l’ascesa degli Stati Uniti al rango di potenza mondiale coincide con la scoperta e lo sfruttamento del petrolio; e il loro predominio si è consolidato con l’accordo del 1945 con l’Arabia Saudita.
L’esperta di energia Gail Tverberg sostiene che l’attuale sistema si basa sui combustibili fossili, che vengono utilizzati in ogni genere di attività, da Internet e dalla produzione di pannelli solari alla costruzione di edifici, all’estrazione di materie prime e al trasporto di merci.
Ma è in agricoltura che la dipendenza dai combustibili fossili è decisiva, in quanto l’attività agricola è diventata incredibilmente efficiente utilizzando grandi attrezzature meccaniche, di solito alimentate a diesel, insieme a una serie di prodotti chimici, tra cui erbicidi, insetticidi e fertilizzanti, sostiene Tverberg nel sito internet oilprice.com (“10 Reasons Why the World Can’t Run Without Fossil Fuels”).
Abbandonare l’agricoltura delle multinazionali significherebbe che i paesi ricchi vivrebbero come la maggior parte delle nazioni africane, che usano pochissimi combustibili fossili, o che le loro popolazioni vivrebbero come le popolazioni indigene e contadine dell’America Latina, dove il tempo di lavoro è principalmente dedicato alla terra e quasi non si utilizzano combustibili o prodotti chimici per l’agricoltura.
Un ultimo dato che collega il capitalismo alla depredazione della natura è fornito da un rapporto che afferma che le illegalità ambientali sono la quarta attività criminale più redditizia al mondo. Il rapporto si riferisce alla deforestazione illegale, all’estrazione mineraria, alla pesca e al commercio di fauna selvatica che sono diventati un enorme motore finanziario che, secondo l’Interpol, nel 2018 si stimava che generasse dai 110 ai 281 miliardi di dollari di entrate illecite all’anno su scala globale (“América Latina expande el marco legal contra los delitos ambientales”).
Come sappiamo, il nostro continente (America latina, ndr) è particolarmente vulnerabile ai crimini contro la natura, a causa della sua biodiversità e dell’abbondanza di minerali e di acqua. Le legislazioni promosse dai governi non riescono a frenare le attività estrattive né a mitigare i danni all’ambiente.
È necessario chiedersi perché tanto rumore intorno alla transazione energetica e all’impiego di energie rinnovabili. Buona parte del potere del sistema oggi risiede nella promozione di un ecologismo che non mette in discussione il capitalismo, servendosi dei nomi più diversi (inclusa l’attività mineraria verde o sostenibile) per convincere gli ambientalisti che devono credere nelle politiche progressiste.
Non è vero che grandi eventi come la COP, o le conferenze mondiali delle Nazioni Unite sulle donne e contro il razzismo, non hanno ottenuto grandi risultati. Hanno ottenuto molto più di quanto ci si potesse aspettare, ma in modo indiretto: hanno dato vita ai progressisti del mondo che distraggono chi sta in basso senza promuovere reali cambiamenti.
Traduzione a cura di Camminardomandando