Il Summit dell’Amazzonia: Estrattivismo e violenza nel nome della “bioeconomia” e della “sostenibilità”
Traduzione di Matilde Revelli
Con la scusa di portare avanti lo “sviluppo sostenibile”, i governi della regione amazzonica continuano a fornire incentivi all’estrattivismo. Di fronte a questi avvenimenti, la leader indigena Alessandra Munduruku sfoga i propri pensieri: “Ciò di cui abbiamo bisogno è la demarcazione dei territori indigeni. Basta parlare di bioeconomia, di sostenibilità, quando vi è violenza nel qui e ora”.
L’8 e 9 agosto 2023, la città brasiliana di Belém ha ospitato il Summit dell’Amazzonia, una riunione particolare che ha riunito i presidenti di Brasile, Colombia, Perù, Bolivia, Ecuador, Venezuela, Guyana e Suriname per discutere delle questioni legate a questa regione. Uno dei punti chiave dell’ordine del giorno è stato il vero motivo di questo incontro: l’urgente sfida di combattere la deforestazione.
Il Summit ha prodotto la Dichiarazione di Belém, nella quale i Presidenti hanno suggerito due linee d’azione. La prima è di promuovere lo “sviluppo sostenibile”; la seconda è la “piena protezione” o “preservazione” della regione amazzonica, con l’obiettivo di raggiungere “zero deforestazione” entro il 2030. In una frase della Dichiarazione i Presidenti asseriscono che intendono “combattere la deforestazione” e, allo stesso tempo, “eradicare e fermare l’avanzamento delle attività illegali di estrazione delle risorse naturali” [enfasi aggiunta].
Secondo questo ragionamento, la Dichiarazione sembra suggerire che non vi sarebbero problemi se le aziende o altri attori coinvolti in attività di estrattivismo relative all’industria mineraria, petroliera, boschiva e agricola, oppure le centrali di energia idroelettrica, le autostrade, le ferrovie e i porti su larga scala di cui il modello estrattivista ha bisogno, portassero avanti le proprie attività legalmente, con licenze aggiornate.
Purtroppo, la realtà della regione amazzonica dimostra esattamente l’opposto. I settori sopracitati legati al modello dell’estrattivismo industriale sono cause note della deforestazione. Se condotti illegalmente, il loro impatto violento e distruttivo tende ad aumentare. La Dichiarazione di Belém non menziona neppure queste cause, e men che meno ne analizza l’impatto sui territori dei popoli indigeni, fluviali e delle comunità tradizionali e contadine.
La dura realtà è che nel nome dello “sviluppo sostenibile” i governi della regione amazzonica continuano a dare incentivi all’estrattivismo. Non promettono di impegnarsi a promuovere misure strutturali che rompano con il modello estrattivista, come la cessazione dell’estrazione di petrolio nella regione amazzonica, proposta da uno dei presidenti che hanno partecipato all’incontro. Per questa ragione, il proprio concetto di “sviluppo sostenibile” è diventato indirettamente una delle cause principali della deforestazione. Ciò significa che quando i Presidenti chiedono più “sviluppo sostenibile” nella Dichiarazione di Belém, in pratica stanno anche chiedendo più deforestazione.
Al momento, è difficile trovare un settore distruttivo nella regione amazzonica che non si auto-proclami “sostenibile”: gestione “sostenibile” delle foreste”, germogli di soia “sostenibili”, olio di palma “sostenibile”, attività mineraria “sostenibile”, tutto è diventato “sostenibile”. Questi settori usano anche altri stratagemmi, come i “sigilli di garanzia” rilasciati da certificatori volontari “sostenibili”.
Dialoghi sull’Amazzonia e la bioeconomia
Nei giorni precedenti al Summit, migliaia di persone, compresi molti indigeni, si sono riuniti a Belém per un evento chiamato “Dialoghi sull’Amazzonia”, un’iniziativa dello stesso governo brasiliano il quale sosteneva di voler incoraggiare la partecipazione della società civile al Summit. Purtroppo, nella dichiarazione finale non è stato inserito il contenuto delle proposte e delle riflessioni fatte, consegnate in forma di lettere.
Allo stesso tempo, ciò che vale la pena notare su questi “Dialoghi” è la forte presenza di grandi ONG ambientaliste che tipicamente usano questi spazi per enfatizzare certi concetti e proporne di nuovi. A Belém, queste organizzazioni hanno parlato molto della “bioeconomia” e dell’idea di promuovere una “foresta viva”, riferendosi alla stessa foresta amazzonica.
L’espressione “foresta viva” suona bene, ma suona anche strano. Dopotutto, quale foresta non è viva? Ricorda un altro termine diffuso da queste stesse ONG: quello di “copertura forestale” (forest standing). “Copertura forestale? Non ho mai visto una foresta senza vestiti”[1][1], disse una volta il leader di una comunità dopo aver sentito il termine.
La copertura forestale simbolizza bene la visione che i promotori della bioeconomia – organizzazioni transnazionali su larga scala responsabili della distruzione della regione amazzonica, così come le grandi ONG ambientaliste – hanno della foresta: un’opportunità per stilare nuovi accordi finanziari, come la vendita di crediti di carbonio di cui beneficiano le aziende inquinanti. Potendo vantare le proprie attività “a impatto zero”, queste ribattezzano le proprie “vecchie” attività estrattive come parte dell'”economia verde”, producendo “biocarburanti” ed espandendo l’attività mineraria nel nome della “transizione verde” dell’economia.
I promotori della bioeconomia cercano di allearsi con i governi e le principali organizzazioni dei popoli indigeni e tradizionali. Mandano inviti ad eventi a porte chiuse con pochi partecipanti. Ad esempio, a gennaio 2023 il governatore dello stato di Pará, Helder Barbalho, partecipò al World Economic Forum a Davos per presentare il “Piano bioeconomico” del proprio stato alle élites del capitale globale. Un piano formulato dall’ONG ambientalista TNC, tra l’altro.[2] A giugno si è svolta a Rio de Janeiro la “Conferenza della bioeconomia pan-amazzonica”, con la partecipazione dell’Earth Fund del miliardario Jeff Bezos, la Banca Mondiale, il WWF e l’organizzazione regionale indigena COICA.[1] Ad agosto ha avuto luogo la “Conferenza internazionale per l’Amazzonia e le economie emergenti”, supportata inter alia dal governo statale del Pará e da Vale[2], una delle più grandi aziende minerarie mondiali e responsabile di due dei più seri crimini ambientali nella storia del Brasile, a Brumadinho e Mariana, nello stato del Minas Gerais.[3]
Nonostante non venga usata la parola “bioeconomia”, la Dichiarazione di Belém riassume perfettamente l’idea che i suoi promotori cercano di imporre: più “sviluppo sostenibile” con più “conservazione” e sempre con un occhio a nuove opportunità finanziarie.“
La Dichiarazione di Belém parla anche di “garantire i diritti delle popolazioni indigene, delle comunità locali e tradizionali, compreso il diritto ai territori e alle terre abitate da questi popoli, [con] proprietà totale ed effettiva”. Ma gli eventi che hanno avuto luogo intorno al Summit hanno fin da subito messo in dubbio la validità di questa promessa.
La vigilia del Summit, nella municipalità di Tomé-Açu, a 200 km da Belém, quattro membri della comunità indigena Tembé sono morti durante due confrontazioni con le guardie della sicurezza di una compagnia chiamata Brasil Biofuels (BBF). I Tembé combattono affinché il governo brasiliano demarchi il territorio confiscato da BBF come di proprietà della comunità. Con ogni tipo di supporto statale, questa compagnia ha e sta espandendo una piantagione di monocoltura per la produzione di olio di palma dendê e biogas per la bioeconomia (vedi articolo in questo bollettino).
Uno dei partecipanti ai “Dialogi sull’Amazzonia”, la leader Alessandra Munduruku, di un popolo che combatte da anni per la demarcazione del proprio territorio, si è sfogata così: “Dobbiamo mettere urgentement fine a questa violenza. Ciò di cui abbiamo bisogno è la demarcazione dei territori indigeni. Basta parlare di bioeconomia, di sostenibilità, quando vi è violenza nel qui e ora”.[4]
Il Piano d’Azione per la Foresta Tropicale (Tropical Forestry Action Plan, TFAP) pubblicato dalla Banca Mondiale e dalla FAO nel 1986 somigliava alla Dichiarazione di Belém del 2023, proponendo azioni per promuovere lo “sviluppo” tramite la “protezione” della foresta. Vale la pena ricordare che il TFAP fallì. Risultò in una maggiore distruzione delle foreste e maggiori problemi per le comunità dipendenti da queste, che furono ingiustamente accusate della deforestazione. Quarant’anni dopo il piano fallito della Banca Mondiale, la storia si ripete, indicando che per i popoli indigeni e le comunità tradizionali della regione amazzonica non c’è alternativa se non continuare a rinforzare sempre di più il loro coordinamento, la loro aggregazione e le loro lotte di resistenza.
NOTE
[1] Nel testo originale: “Forest standing? I’ve never seen a forest lying down.”, N.d.T.
2 WRM Bulletin, REDD and the Green Economy exacerbate oppression and deforestation in Pará, Brasile, luglio 2023.
3 Conferência Pan-Amazônica pela Bioeconomia reúne líderes e especialistas para debater formas de impulsar a bioeconomia na Amazônia, giugno 2019.
4 Conferência Internacional Amazônia e Novas Economias; Pará e mineração valorizam bioeconomia para promover desenvolvimento sustentável da Amazônia
5 N.d.T.: per approfondire sul tema, si veda: Brumadinho Environmental Crime in Brazil (Greenpeace, 2021); La ricerca della verità dopo il disastro di Brumadinho (Altraeconomia, 2020); Beyond Mariana and Brumadinho: Vale’s long history of violations (Brasil de Fato, 2019); Crollo diga in Brasile, il disastro di Brumadinho non è stato un incidente. Ma un crimine (Il Fatto Quotidiano, 2019)
6 Na véspera da Cúpula da Amazônia, duas mulheres e um homem do povo Tembé são baleados no Pará.
Fonte [The Amazon Summit: Extractivism and violence in the name of the “bioeconomy” and of “sustainability”]
[1] Nel testo originale: “Forest standing? I’ve never seen a forest lying down.”, N.d.T.
[2] WRM Bulletin, REDD and the Green Economy exacerbate oppression and deforestation in Pará, Brasile, luglio 2023.