Di Kino
Nel panorama delle emergenze globali, la crisi climatica ed ecologica continua ad occupare un posto di primo piano, tuttavia anche se l’informazione mainstream non ne parla affetta com’è dallo sbilanciamento cronico della formazione e rilevanza delle informazioni all’interno del discorso pubblico, un fattore che contribuisce significativamente al degrado ambientale è proprio il settore militare.
Le attività militari, sia in tempo di pace che di guerra, generano una quantità considerevole di gas serra, aggravando ulteriormente la situazione climatica. Questo articolo prova ad esplorare l’impatto ambientale del settore militare, con un focus particolare sulle emissioni di gas serra e sull’impiego di risorse naturali per la produzione di armamenti. Inoltre, esamineremo i dati militari della NATO e analizzeremo le implicazioni ecologiche dei conflitti armati. Tralasciando solo in questo caso, le gravi ricadute sociali degli investimenti militari nel quadro imperialista e neocoloniale globale.
Emissioni militari e crisi climatica
Le emissioni di gas serra sono alla base della crisi climatica. La comunità scientifica è unanime nel riconoscere che la riduzione delle emissioni è essenziale per mitigare il cambiamento climatico. Tuttavia, il settore militare rappresenta una delle principali fonti di emissioni, con impatti devastanti sull’ambiente. Secondo un rapporto dell‘Osservatorio sui conflitti e l’ambiente, l’impronta di carbonio delle attività militari è pari al 5,5% delle emissioni globali. Questo dato è allarmante, considerando che molti trattati internazionali sul clima non prevedono l’obbligo di contabilizzare le emissioni del settore militare.
Dati militari NATO e la corsa agli armamenti
La NATO, mano armata dell’espansionismo occidentale, gioca un ruolo cruciale nella lotta per l’egemonia globale. Gli Stati membri della NATO sono tra i principali contributori alle spese militari mondiali. Nel 2023, la spesa militare globale ha raggiunto i 2.443 miliardi di dollari, con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente. Gli Stati Uniti, che detengono il 37% della spesa militare globale, rappresentano il 68% delle spese della NATO. La costruzione di nuovi armamenti è spesso giustificata con la necessità di deterrenza e sicurezza, ma a quale costo per l’ambiente?
Secondo l’ultimo rapporto dell‘Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), nel 2023, la spesa militare mondiale ha toccato i 2.443 miliardi di dollari, segnando un record storico. La guerra in Ucraina ha dato un impulso significativo alla spesa per armamenti, che attualmente rappresenta il 2,3% del PIL mondiale. La spesa militare dei 31 paesi membri della NATO nel 2023 è stata pari a 1.260 miliardi di dollari, più del 50% del totale mondiale. L’Unione Europea ha aumentato le spese militari del 50% dal 2014, arrivando a 295 miliardi di euro. Per l’Italia, l’incremento della spesa militare rispetto al 2014 è stato del 31%, con un’incidenza sul PIL dell’1,6%. La Russia, impegnata nella guerra contro l’Ucraina, nel 2023 ha toccato i 109 miliardi di dollari, con un incremento del 24% rispetto all’anno precedente.
L’impatto ambientale delle attività militari
Anche in tempo di pace, le attività militari hanno un impatto significativo sulle emissioni di gas serra. La manutenzione degli armamenti, le esercitazioni militari e la logistica richiedono una grande quantità di combustibili fossili. Ad esempio, una ricerca della Lancaster University ha evidenziato che il Pentagono, la più grande organizzazione militare del mondo, utilizza ogni anno oltre 82 milioni di barili di petrolio, un consumo paragonabile a quello annuale di paesi come il Portogallo o la Finlandia.
Le emissioni durante i conflitti
Durante i conflitti armati, l’impatto ambientale delle attività militari peggiora drasticamente. L’impiego massiccio di combustibili fossili per il funzionamento dei mezzi militari e l’uso di esplosivi causano un aumento significativo delle emissioni di gas serra. I bombardamenti, gli incendi nei depositi, la distruzione di edifici civili e industriali, impianti petrolchimici e siderurgici, e gli incendi nei boschi contribuiscono a un ulteriore deterioramento ambientale. Nel corso dei primi 18 mesi di guerra in Ucraina, sono state emesse oltre 150 milioni di tonnellate di CO2 e altri gas serra, equivalenti alle emissioni annue di un paese industrializzato come il Belgio.
La necessità di nuovi armamenti secondo la NATO
La NATO giustifica l’aumento delle spese militari e la costruzione di nuovi armamenti con la necessità di deterrenza e dissuasione. L’Alleanza Atlantica ha esortato i suoi membri a destinare almeno il 2% del PIL alle spese militari. Questo obiettivo, se raggiunto, comporterebbe un aumento della spesa di sei volte rispetto al 2014. Tuttavia, questa corsa agli armamenti mette in discussione i progetti di decarbonizzazione e sottrae risorse cruciali ai settori sociali e alla transizione ecologica. La corsa alla supremazia militare globale è il tratto distintivo del modello economico dominante: il Capitalismo e… non riguarda solo la NATO. Lo sviluppo geopolitico Multipolare spinge a maggiori investimenti militari anche paesi emergenti schierati in alleanze dominate da altre superpotenze militari come Cina e Russia contrapposte alla NATO. Il destino di nuovi conflitti e un prossimo futuro di guerra su larga scala è assicurato.
Le ricadute ambientali dei conflitti militari
I conflitti armati hanno conseguenze devastanti per l’ambiente. Oltre all’aumento delle emissioni di gas serra, la guerra comporta la distruzione di habitat naturali, la contaminazione del suolo e delle acque, e la perdita di biodiversità. Gli incendi causati dai bombardamenti distruggono foreste e riserve naturali, mentre l’uso di armi chimiche e nucleari può avere effetti a lungo termine sulla salute umana e sull’ambiente.
Dati scientifici sull’impatto dei conflitti
Uno studio pubblicato dal Climate and Community Project ha rilevato che le forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno prodotto, dal 2015 al 2023, almeno 430 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Questi dati dimostrano che le emissioni militari superano quelle di molti paesi. Inoltre, le attività militari compromettono la capacità degli ecosistemi di assorbire CO2, aggravando ulteriormente la crisi climatica.
L’inversione delle politiche ambientali
Nonostante l’urgenza di affrontare la crisi climatica, stiamo assistendo a un’inversione nelle politiche ambientali a favore della militarizzazione. L’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) indica che l’investimento annuo necessario per la decarbonizzazione è di 5700 miliardi di dollari. Tuttavia, i finanziamenti destinati ai combustibili fossili e alle spese militari continuano a crescere, ostacolando il progresso verso una transizione ecologica.
Il ruolo della Politica Agricola Comune europea (PAC)
Anche la Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2023-2027 è stata rivista al ribasso per quanto riguarda il contrasto ai cambiamenti climatici e la biodiversità. Questo indebolimento delle politiche ambientali evidenzia una mancanza di volontà politica di affrontare seriamente la crisi climatica, con le risorse che vengono dirottate verso la militarizzazione.
Conclusione
La crisi climatica ed ecologica richiede una cooperazione globale e una riduzione drastica delle emissioni di gas serra. Tuttavia, l’attuale tendenza alla militarizzazione e l’aumento delle spese militari stanno allontanando il mondo dagli obiettivi climatici globali. Il settore militare, con il suo impatto devastante sull’ambiente, rappresenta una delle principali sfide per la sostenibilità del pianeta.
Per affrontare efficacemente la crisi climatica, è essenziale ridurre le spese militari e reindirizzare le risorse verso la transizione ecologica. La cooperazione internazionale deve essere rafforzata, e le politiche ambientali devono essere prioritarie rispetto alla corsa agli armamenti. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sperare di mitigare il cambiamento climatico e proteggere il nostro pianeta per le future generazioni.
Come ecosocialisti, dobbiamo riconoscere che l’uscita dal modello imperialista per l’egemonia globale è l’unica soluzione per la protezione dell’ambiente. L’autodeterminazione dei popoli deve essere al centro delle politiche internazionali, garantendo che le risorse siano utilizzate per il bene comune e non per alimentare conflitti. Un modello di governance ecosocialista mondiale rispettoso degli ecosistemi e della vita sul pianeta è l’unica via percorribile per costruire un futuro sostenibile. Solo così potremo sperare di realizzare una società equa, giusta e in armonia con la natura del Pianeta.
Bibliografia
- Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), “Global Military Spending 2023”
- Climate and Community Project, “Military Emissions Report 2015-2023”
- Osservatorio sui conflitti e l’ambiente, “Environmental Impact of the Ukraine War”
- Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA), “Annual Investment Report”
- Lancaster University, “Pentagon’s Oil Consumption Study”