DIBATTITO

Due visioni (entrambe sbagliate) su Marx, decrescita e produttivismo

 

Saito contro Huber e Phillips: punti di vista opposti promuovono entrambi il mito del prometeismo marxista Traduzione a cura di: Danilo Gullotto

L’affermazione secondo cui Karl Marx sosteneva una crescita materiale illimitata è stata ripresa di recente, da due punti di vista opposti: una parte sostiene che Marx abbia abbandonato tali visioni anti-ecologiche in tarda età, e l’altra sostiene fortemente il suo presunto prometeismo. In questo editoriale, gli editori di Monthly Review sostengono che entrambe le parti fraintendono e travisano le opinioni di Marx. Ripubblicato, con modifiche al formato, da Monthly Review, giugno 2024.

Il termine “prometeico”, riferito in questo contesto al produttivismo estremo, entrò inizialmente nel dibattito ecologico come una censura rivolta quasi interamente a Karl Marx. È stato adottato come forma di condanna dai primi ecosocialisti negli anni ’80 e ’90, che cercavano di innestare la teoria verde liberale standard nel marxismo, abbandonando al tempo stesso quelle che allora si presumeva fossero le opinioni antiecologiche di Marx.Tuttavia, il mito prometeico relativo a Marx fu sottoposto a un attacco prolungato, a partire da venticinque anni fa, nel lavoro degli ecosocialisti di seconda fase, rappresentato da “Marx e Natura” di Paul Burkett e da “Teoria di Marx della Frattura Metabolica” di John Bellamy Foster sull’”American Journal of Sociology” – seguito subito dopo dal “L’Ecologia di Marx” di Foster.

Qui si capiva che la prospettiva del materialismo storico classico non era quella della promozione della produzione fine a se stessa – tanto meno dell’accumulazione fine a se stessa – ma piuttosto la creazione di una società sostenibile di sviluppo umano controllato dai produttori associati. La base analitica chiave di questo recupero della critica ecologica storico-materialista classica era la teoria della frattura metabolica di Marx.

Sulla base del recupero della radicale critica ecologica di Marx, l’ecosocialismo ha fatto grandi progressi nell’ultimo quarto di secolo. Un’opera degna di nota, a tale riguardo, è stata “L’Ecosocialismo di Karl Marx” di Kohei Saito, che ha portato ulteriori prove a sostegno della critica del mito prometeico e dello sviluppo della teoria della frattura metabolica di Marx.

Il risultato fu l’emergere di potenti valutazioni ecologiste marxiste sulla crisi planetaria contemporanea fornite da una serie di pensatori, tra cui figure importanti come Ian Angus, Jacopo Nicola Bergamo, Mauricio Betancourt, Brett Clark, Rebecca Clausen, Sean Creaven, Peter Dickens, Martin Empson, Michael Friedman, Nicolas Graham, Hannah Holleman, Michael A. Lebowitz, Stefano Longo, Fred Magdoff, Andreas Malm, Brian M. Napoletano, Ariel Salleh, Eamonn Slater, Carles Soriano, Pedro Urquijo, Rob Wallace, Del Weston, Victor Wallis , Richard York e molti altri troppo numerosi per essere menzionati.

Tuttavia, negli ultimi due anni, il mito del prometeismo nel pensiero di Marx è stato reintrodotto in modo spettrale da pensatori come Saito, nei suoi ultimi lavori, e dagli autori di “Jacobin” Matt Huber e Leigh Phillips, rappresentando due estremi opposti sulla questione del ruolo delle forze produttive/tecnologiche. Il risultato è stato quello di erigere una Torre di Babele che minaccia di estinguere molto di ciò che è stato ottenuto dall’ecologia marxista.

Nei suoi due studi più recenti, “Marx nell’Antropocene” e “Slow Down” (originariamente intitolato “Il capitale nell’Antropocene”), Saito è tornato sulla sua precedente affermazione contenuta ne L’Ecosocialismo di Karl Marx, secondo cui Marx non era un pensatore prometeico, ora insistendo, attingendo al lavoro ampiamente screditato del “marxista analitico” G. A. Cohen, che Marx fu un determinista tecnologico per gran parte della sua vita.

Il dietrofront di Saito su Marx e il prometeismo è chiaramente escogitato per accentuare quella che Saito ora chiama la “rottura epistemologica” di Marx, iniziata nel 1868. Da quel momento in poi, si suppone che Marx abbia completamente abbandonato il suo precedente materialismo storico, rigettando tutte le nozioni sull’espansione delle forze produttive, a favore di un’economia stazionaria, o decrescita. Tuttavia, poiché non esiste da nessuna parte nemmeno la minima prova testuale a sostegno delle affermazioni di Saito su Marx e la decrescita (al di là di ciò che è stato a lungo sostenuto, che Marx era un teorico dello sviluppo umano sostenibile), Saito è costretto a leggere tra le righe, immaginando come procedere.

Il nocciolo della sua nuova tesi è che “l’ultimo Marx” concluse che le forze produttive ereditate dal capitalismo costituivano una trappola, inducendolo a rifiutare del tutto la crescita delle forze produttive a favore di un percorso di non crescita verso il comunismo.

Tale visione, tuttavia, è chiaramente anacronistica. Naturalmente, il fatto che la decrescita pianificata sia oggi un problema reale (vedi Monthly Review luglio-agosto 2023) non significa che il problema si sarebbe presentato in quel modo a Marx nel 1868, ai tempi dei cavalli e del calesse, quando la produzione industriale era ancora confinata solo in un piccolo angolo del mondo. (Sull’analisi di Saito, vedi Brian Napoletano, “Marx era un comunista della decrescita?”). Ironicamente, la tesi di Saito secondo cui Marx fu un Prometeico fino alla pubblicazione del Capitale (considerata da Saito come un’opera di transizione in questo senso) riceve un forte sostegno da Huber e Phillips nel loro articolo “ ‘Ripartire da zero’ il Comunismo della Decrescita di Kohei Saito” pubblicato su Jacobin a marzo.

Sventolando con orgoglio lo stendardo del “marxismo prometeico”, Huber e Phillips si presentano come appartenenti a una lunga tradizione di noti prometeici, includendo non solo Marx e Frederick Engels, ma anche V. I. Lenin, Leon Trotsky e Joseph Stalin. Per gli autori di Jacobin, per i quali Marxismo = Prometeanismo, Saito è quindi da biasimare non per aver suggerito che Marx fosse prometeico fino alla stesura del Capitale, ma piuttosto per la sua affermazione secondo cui Marx si sarebbe sbarazzato del suo prometeismo negli anni della barba bianca, non riuscendo a portarselo fino alla tomba.

Sebbene adottino una copertura marxista, le opinioni di Huber e Phillips sulla tecnologia e sull’ambiente sono virtualmente identiche a quelle di Julian Simon, autore di “La risorsa definitiva” (Princeton University Press, 1981) e principale critico antiambientalista dei limiti ecologici alla crescita all’interno dell’ortodossia economico-neoclassica negli anni ’70 e ’80 (vedi “Ecosocialismo e decrescita” di Foster).

Gli autori di Jacobin adottano quindi una visione che non è tanto di orientamento ecomodernista, quanto una forma di totale esenzionismo umano dai determinanti ecologici, in cui si presume che l’umanità sia in grado di trascendere con mezzi tecnologici tutti i limiti del Sistema Terra, compresi quelli della vita stessa. La frattura metabolica, ci viene detto, non esiste poiché dipende da una frattura in un “equilibrio di natura” inesistente.

Qui ignorano il fatto che la nozione di fratture antropogeniche nei cicli biogeofisici della vita sul pianeta, che sollevano il problema dell’estinzione di massa, estendendosi anche alla vita umana stessa, è centrale per la moderna scienza del Sistema Terra. Non si tratta di un “equilibrio della natura” in quanto tale, ma piuttosto di preservare la terra come casa sicura per l’umanità e per innumerevoli altre specie. Andando contro l’attuale consenso scientifico mondiale, Huber e Phillips negano esplicitamente la realtà dei nove vincoli planetari (cambiamento climatico, integrità biologica, cicli biogeochimici, acidificazione degli oceani, cambiamento del sistema terrestre, uso di acqua dolce, riduzione dell’ozono stratosferico, carico di aerosol atmosferico e nuove entità). Piuttosto, insistono nel loro totale esenzionismo sul fatto che non ci sono limiti biosferici alla crescita economica.

Quindi, “non c’è bisogno”, ci dicono, “di passare a un’economia stazionaria… di ritornare a tecnologie più “appropriate”, di abbandonare i “megaprogetti” o di criticare… una “spaccatura metabolica” con il resto della natura che”, dicono, “[non] esiste”. Parole come “beni comuni” e “mutuo soccorso” sono classificate come semplici “parole d’ordine”. Tutti gli argomenti a favore dei “limiti alla crescita” sono per definizione forme di “malthusianesimo”. L’energia nucleare deve essere promossa come una soluzione chiave al cambiamento climatico e all’inquinamento in generale.

 

Per concludere, sostengono, in termini di darwinismo sociale, che il capitalismo stesso è in qualche modo parte integrante della selezione naturale: “Quindi, per quanto riguarda il resto della natura, qualunque cosa noi esseri umani facciamo, attraverso il modo di produzione capitalistico o in altro modo, dal consumo dei combustibili fossili all’invenzione della plastica, è solo l’ultima serie di nuove pressioni selettive evolutive”.

 

Phillips è andato ancora oltre nel suo libro del 2015 “L’ecologia dell’Austerità e i Dipendenti del Porno-Collasso: Una Difesa della Crescita, del Progresso, dell’Industria e delle Cose”.  “Il socialista”, dichiara, “deve difendere la crescita economica, il produttivismo, il prometeismo… L’energia è libertà. La crescita è libertà”. L’obiettivo finale è “più cose”. Ciò che serve è “un pianeta ad alta energia, non modestia, umiltà e vita semplice”.

Con una sfacciata dimostrazione di irrealismo, Phillips afferma senza mezzi termini: “è possibile avere una crescita infinita su un pianeta finito”. La Terra, siamo debitamente informati, può sostenere “282 miliardi di persone” – o anche di più. I marxisti che hanno messo in dubbio la natura della tecnologia contemporanea, come Herbert Marcuse, vengono sommariamente liquidati come sostenitori di “posizioni neo-luddiste”. Phillips celebra apertamente il lavoro reazionario di Simon, La Risorsa Definitiva, la bibbia dell’esenzionalismo totale anti-ecologico.

L’audace difesa di un “Marxismo Prometeico” da parte di Huber e Phillips nel loro articolo su Jacobin è stata espressa con una vivacità che deve aver lasciato verde d’invidia il capitalista Breakthrough Institute. Ha già suscitato una forte reazione nei circoli ambientalisti della sinistra liberale contro le insensatezze del cosiddetto “Marxismo ortodosso”. Ciò può essere visto in un articolo di Thomas Smith intitolato “Tecnologia, ecologia e beni comuni: il marxismo sterile di Huber e Phillips”.

Qui ci viene detto, in un ulteriore allontanamento dalla ragione, che Huber e Phillips, nel loro totale disprezzo per l’ecologia, stanno semplicemente “rispettando la linea marxista”, promuovendo il “dogma marxista prometeico” – come se le loro opinioni potessero essere viste come rappresentative del “marxismo ortodosso” (che, come ha detto Georg Lukács, è interamente legato al metodo), o come se la loro visione fosse tutt’uno con quella del marxismo nel mondo di oggi. Neppure questo è il caso.

Nelle condizioni del ventunesimo secolo, il socialismo è ecologia e l’ecologia è socialismo. Forse l’aspetto più importante dell’analisi di Saito, nonostante tutte le contraddizioni del suo lavoro più recente, è che essa riconosce che una profonda visione ecologica era presente classicamente nell’opera di Marx (e, aggiungeremo noi, di Engels), e che ciò costituisce un fondamento teorico a cui tutti coloro che oggi sono impegnati nella filosofia della prassi possono attingere nelle loro lotte per creare un mondo economicamente egualitario ed ecologicamente sostenibile.

Fonte : https://climateandcapitalism.com/2024/06/13/two-views-both-wrong-on-marx-degrowth-and-productivism/

 

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