di Umberto Oreste
Pochi giorni dopo la chiusura ingloriosa della COP29 a Baku, che ha ancora una volta ignorato gli accordi di Parigi 2015, si è chiusa il primo di dicembre la INC5 di Busan in Corea del Sud, la conferenza ONU che doveva mettere mano alla riduzione della produzione di plastica alla luce degli evidenti danni ambientali che produce.
La massa della plastica, che è l’insieme di diverse sostanze chimiche sintetiche, sta crescendo il maniera esponenziale, conquistando tutti gli ambienti del pianeta, dalle profondità degli abissi oceanici al citoplasma delle nostre cellule. Sebbene l’allarme sia stato lanciato da tempo dagli scienziati, la produzione di plastica è in costante aumento dal 1907, anno della sintesi della bakelite da parte del chimico belga Leo Baekeland. Gli anni seguenti hanno visto la nascita del Polivinilcloruro (PVC), Cellophan, Polistirene, Nylon (Poliammide), PET (Polietilene tereftalato), Moplen (Polipropilene isotattico) e tante altre sostanze “plastiche”.
Negli ultimi 60 anni ne sono state prodotte nel mondo oltre 8 miliardi di tonnellate di cui solo il 9% è stato riciclato; il 12% è stato incenerito ed il 79 % è stato semplicemente riversato nell’ambiente naturale. Il problema è enorme: basti ricordare l’enorme isola di plastica galleggiante nel Pacifico settentrionale, e, più vicino a noi, i 10 Kg di rifiuti di plastica per Km2 galleggianti sulle acque tra Toscana e Corsica (dati CNR). La plastica è diventata un driver di global change, cioè un fattore in grado di spostare gli equilibri della Biosfera. Essa non solo altera gli ecosistemi, ma è anche un elemento pericoloso per la salute perché in grado di rilasciare sostanze tossiche.
Nel 2022 l’assemblea dell’ONU aveva costituito l’INC (Intergovernamental Negotiating Committee) sul Global Plastics Treaty con il mandato di promuovere un accordo internazionale giuridicamente vincolante sulla plastica. La risoluzione era intitolata: “Porre fine all’inquinamento da plastica: verso uno strumento internazionale giuridicamente vincolante”. Da allora si sono succedute varie sessioni INC a Punta del Est, Parigi, Nairobi, Ottawa fino alla INC5 tenuta questo autunno a Busan in Korea del Sud. La precedente sessione INC4 ad Ottawa in Canada non aveva fatto altro che preparare un elenco di temi da trattare, che dovevano essere discussi a Busan che doveva, così, essere la sessione conclusiva dell’INC. Così non è stato: la INC5 si è chiusa con un nulla di fatto, rimandando il tutto alla INC6. I contrasti sono stati di natura economica tra pochi paesi produttori ed esportatori di plastica come USA, India, Arabia Saudita, Russia e Cina, e tutti gli altri paesi consumatori e importatori compresa l’Europa. I paesi esportatori hanno praticamente spostato il discorso dal limitare la produzione di plastica al neutralizzare dell’inquinamento, individuando così un ulteriore mercato del disinquinamento (profitto nella produzione + profitto nello smaltimento).
Nel 2023 la quantità di plastica prodotta nel mondo è ammontata a 413 milioni di tonnellate; nel 1950 la produzione era di soli 2 milioni di tonnellate e nel 2000 aveva raggiunto i 200 milioni. Si prevede che nel 2060 la produzione triplicherà superando il miliardo di tonnellate all’anno. Attualmente i maggiori produttori di plastica sono Cina, USA, Arabia, India. La produzione è estremamente concentrata: infatti 20 aziende producono il 55% del totale mondiale; ai primi posti la Exxon, la Dow, la Aramco e la Sinopec.
Sono le stesse aziende che estraggono i combustibili fossili. Sono, quindi, evidenti le interrelazioni tra produzione di plastica, petrolchimica, estrazione del petrolio ed emissioni di gas serra. Sono queste aziende che hanno interessi fortissimi nell’agrochimica (fertilizzanti, anticrittogamici, diserbanti), della farmaceutica, nelle fibre tessili sintetiche, cioè nei mercati più consistenti a livello planetario. Sono queste aziende che hanno tutto l’interesse a spargere il negazionismo sui cambiamenti climatici, sui pericoli delle microplastiche. Sono loro che, da dietro le quinte tramano con i governi per far fallire le COP e le INC.
Sono loro che hanno poteri economici e politici maggiori degli stati, che detengono i destini della biosfera. Sono loro il nemico della vita sulla terra, sono loro i primi nemici dell’Ecosocialismo.