di Giorgio Simoni
A seguito della conferenza telematica “In metrò con il Covid”, organizzata da Controtempi mercoledì 06-05, pubblichiamo questo contributo sul problema dei trasporti nella cosiddetta “Fase due”. Un problema apparentemente tecnico ma che cela un nocciolo politico: i rapporti sociali e i modi in cui la società produce e consuma i beni di cui ha bisogno.
L’iniziativa di mercoledì scorso e quest’articolo (che si inserisce nel filone di analisi sull’attuale crisi sanitaria) sono i primi passi per costruire nel futuro un percorso di mobilitazione collettiva sulla questione del trasporto pubblico.
Abbiamo visto tutti, dal vivo o nelle immagini sui media, i bollini alle fermate e sui mezzi pubblici, a indicare i posti vietati e gli stazionamenti obbligatori. Quegli adesivi rappresentano bene la situazione in cui si trova il trasporto pubblico in questa “Fase due”, e fino a quando sarà necessario mantenere il cosiddetto “distanziamento sociale”. La capacità di carico dei veicoli, infatti, è ridotta a meno di un terzo di quella ordinaria.
Questo vale sia per il trasporto pubblico urbano sia per quello extraurbano: la rete della metropolitana di Milano trasportava, prima della crisi sanitaria, 1,4 milioni di passeggeri nel giorno feriale medio; Trenord, in tutta la Lombardia, ne portava 800mila. Di conseguenza i numeri in gioco sono enormi. Se riduciamo questi valori a un terzo, abbiamo appiedato un milione e mezzo di persone.
La nostra prima critica è proprio questa: l’accelerazione della “Fase due” che il governo ha voluto mettere in campo si scontra con questi limiti oggettivi. Se nella prima settimana il sistema dei trasporti ha retto abbastanza bene, ciò è dovuto al fatto che la ripresa della mobilità è ancora parziale. Ma non ci vuole la sfera di cristallo per capire che il numero di spostamenti crescerà con la progressiva riapertura delle attività produttive e commerciali. In ogni caso, è evidente che il trasporto pubblico non può reggere, in condizioni di distanziamento sociale, l’impatto di un ritorno ai livelli di mobilità precedenti alla crisi da Covid-19. Del tutto impossibile, poi, immaginare il trasporto anche degli studenti, nell’ipotesi che dovessero riaprire scuole e università, e che a settembre sia ancora in vigore il distanziamento sociale.
Purtroppo, non esiste una soluzione magica che faccia quadrare i conti. La prima preoccupazione delle amminstrazioni e del governo dovrebbe essere quella di tenere sotto controllo la domanda di mobilità, limitando e diluendo nel tempo la riapertura delle attività produttive, commerciali e sociali. In questo momento, però, i decisori politici e tecnici che si occupano di trasporto pubblico si stanno muovendo a tentoni. La logica dei provvedimenti adottati (la segnaletica sui mezzi e nelle stazioni, gli annunci, fonici, ecc.) è puramente formale, e volta più a scansare il problema che ad affrontarlo direttamente.
Non a caso, le associazioni di categoria delle aziende del settore hanno già proposto di far saltare il criterio del distanziamento sociale sui veicoli e nelle stazioni del trasporto pubblico.
Il peso di queste scelte cadrà, in primo luogo, sulle spalle dei lavoratori dei trasporti, che si troveranno a gestire situazioni di forte conflittualità con gli utenti (e degli utenti tra loro). In secondo luogo, in perfetta continuità con la comunicazione istituzionale e dei mass media, i quali continuano a porre l’accento sui comportamenti individuali dei passeggeri, si tenterà di colpevolizzare gli utenti. Anche noi pensiamo che debbano essere rispettate le norme sanitarie ma un’eventuale crisi per “carenza di offerta” del sistema dei trasporti renderà inevitabilmente impossibile gestire ordinatamente la situazione.
Cosa possiamo dire, come ecosocialisti, in una situazione così difficile?
Premesso che, se si ragiona sul breve-medio periodo, è politicamente sbagliato porsi pragmaticamente sul terreno della “migliore gestione possibile” di una “Fase due” che non abbiamo voluto (e che anzi abbiamo contrastato), dobbiamo innanzitutto dire con onestà che non è possibile risolvere in poche settimane o mesi le già esistenti criticità strutturali del trasporto pubblico.
Per citare un esempio: la metropolitana di Milano, nelle ore di punta, viaggia all’ottanta o novanta per cento della capienza massima, nonostante frequenze molto elevate e prossime ai limiti dell’infrastruttura, quanto meno per le linee 1 e 2. Eppure, Milano, nel contesto italiano, è una delle città meglio dotate dal punto di vista dei trasporti.
Qualcuno ha proposto, come soluzione, il blocco totale del traffico privato. Sebbene sia una richiesta che va nella giusta direzione, nel breve periodo rischia di essere, a parere di scrive, un po’ velleitaria. Il trasporto pubblico italiano non è in grado di assorbire in condizioni normali la quota di spostamenti di chi utilizza l’automobile, figuriamoci se lo è con la capienza ridotta come abbiamo visto all’inizio. Tuttavia, è sicuramente giusto respingere la tendenza opposta, cioè quella a favorire l’uso dell’automobile. In questo senso occorre criticare con forza due provvedimenti recenti della giunta Sala: la sospensione di Area B e C (zone a traffico limitato) e la sospensione delle corsie riservate ai mezzi pubblici.
Se si ragiona di una risposta immediata alle esigenze della “Fase due”, la necessità di potenziare il servizio di trasporto pubblico si scontra con alcuni limiti invalicabili: la disponibilità di veicoli (i cui tempi di approvvigionamento si contano in mesi e anni) e la portata delle infrastrutture (la cui realizzazione richiede lustri e decenni). Tuttavia, dati questi vincoli, è possibile immaginare di aumentare la frequenze delle corse al di fuori delle ore di punta, quando normalmente non sono utilizzati tutti i veicoli a disposizione. Questo tipo di incremento del servizio favorirebbe il disallineamento degli orari degli spostamenti delle persone, laddove possibile. Sarebbe però necessario procedere immediatamente all’assunzione di personale da parte delle aziende di trasporto, e quindi dovrebbero essere aumentati in maniera importante i finanziamenti. Usciamo, a questo punto, dal campo della tecnica ed entriamo in quello della politica. Questo governo, che mette a disposizione enormi quantità di soldi per ottemperare alle richieste di Confindustria e soci, è altrettanto interessato a spendere per migliorare i servizi pubblici come scuola, sanità e trasporti? Finora non ci è sembrato…
Sicuramente da sostenere è anche la rivendicazione della gratuità del trasporto pubblico, da finanziare attraverso la fiscalità generale. Le risorse possono essere trovate attraverso una revisione delle aliquote Irpef, che colpisca i redditi più alti, con un’imposta patrimoniale straordinaria e soprattutto con la tassazione dei redditi da capitale, che in Italia è ormai tendente a zero.
Infine, non si può parlare di trasporto pubblico a Milano, senza ricordare che, per quanto rallentata dalle vicende sanitarie, è ancora in piedi la minaccia di Milano Next: un consorzio pubblico-privato, a cui partecipa anche Atm, che si candida a gestire il trasporto pubblico per i prossimi 15 anni attraverso un contratto di finanza di progetto. Un progetto che, stato giustamente denunciato, non è altro se non l’inizio di un percorso di privatizzazione dei trasporti.
Un percorso contro cui dobbiamo energicamente combattere.