di Bruno Buonomo, Sinistra Anticapitalista e Planet 2084
Grandi donazioni filantropiche alla causa del cambiamento climatico attirano i titoli dei media, ma purtroppo questi i titoli non risolveranno il problema.
Dieci miliardi di dollari! Questo è l’importo che Jeff Bezos amministratore delegato e proprietario di Amazon, ha recentemente impegnato per finanziare la ricerca e l’attivismo sul cambiamento climatico.
Un sacco di soldi per un impegno personale, infatti è il più grande contributo che supera al momento tutte le donazioni sinora effettuate (9,8 miliardi di dollari) al Green Climate Fund1: un fondo costituito circa dieci anni fa con l’impegno del mondo sviluppato di canalizzare 100 miliardi di dollari verso paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni e aumentare la loro capacità di rispondere a cambiamento climatico.
Questo impegno segue il recente annuncio che Bill Gates, che ha fondato 20 anni la Bill & Melinda Gates e si è dimesso dalle cariche dirigenziali in Microsoft (rimanendo ancora uno dei padroni) per concentrarsi interamente ai sui suoi sforzi filantropici.
Le Fondazion2, una delle più grandi organizzazioni nonprofit, mira a ridurre le disuguaglianze ed è forse più conosciuta per gli sforzi nell’eradicazione delle malattie (infatti e stata molto presente sui media in questa fase di pandemia), e sostiene piccoli produttori alimentari affrontare gli effetti del cambiamento climatico.
Inoltre, i suoi sforzi includono anche il progetto Breakthrough Energy3 per sviluppare tecnologie energetiche a zero-emissione, lanciato nel 2015 a Parigi durante la COP21.
Negli ultimi anni, queste donazioni si sono ampliate, avendo sempre un’ampia risonanza su tutti i mezzi di informazione, non da ultimo le donazioni effettuate per la costruzione di ospedali o per supportare i sistemi sanitari pubblici durante la pandemia mondiale da coronavirus.
Il paradosso è che queste azioni “caritatevoli” sono compiute proprio dai maggiori responsabili dei disastri in atto (pandemia e crisi climatica). Per decenni sono stati gli artefici principali dei tagli alle spese del settore sanitario e della devastazione ambientale al fine di salvaguardare gli enormi profitti delle loro aziende.
Tuttavia, per quanto grandi siano queste donazioni, sono solo una piccola quantità di ciò che è necessario. Le stime calcolate sugli interventi per mitigare il cambiamento climatico sono nell’ordine delle migliaia di miliardi di dollari.
Per citare un dato che già esplicita che tipo di investimenti sarebbero necessari, secondo l’IPCC solo per quanto riguarda la riconversione energetica servono circa 2400 miliardi di dollari ogni anno fino al 2035 per limitare l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 C dai livelli pre-industriali (questo settore corrisponde a circa il 2,5% dell’economia mondiale). E lo sforzo per affrontare il cambiamento climatico va oltre la trasformazione dei sistemi energetici: comprende la spesa per il rimboschimento, i sistemi di difesa costiera e molti altri sforzi per ridurre le emissioni e adattarsi all’aumento delle temperature.
Appare evidente quindi come gli sforzi filantropici non possono risolvere il cambiamento climatico, ma rappresentato solo una pura azione di propaganda per coprire le pesanti responsabilità che questi padroni del mondo hanno, e che cercano di mistificare sia per mezzo dei sistemi di comunicazione (di cui sono proprietari) ma anche perché supportati da decisori politici sempre pronti in una servile difesa dei loro interessi.
Se si analizzano inoltre i dati delle emissioni correlati al tenore di vita delle differenti classi sociali, appare evidente come sia falsa la narrazione molto in voga a livello di opinione pubblica del «dobbiamo tutti consumare di meno».
Recenti studi4 (Nat. Energia 5, 231 p.m.239; 2020) ci dicono che lo 0.54 % della popolazione mondiale più ricca contribuisce al 13,6% delle emissioni globali, analisi fatta sulla popolazione di 86 paesi che ha evidenziato la perfetta correlazione tra ricchezza dei singoli e maggiore consumo di energia. Inoltre, sempre nello stesso articolo si analizza il consumo di energia rispetto agli stili di vita e i dati ci dicono che:
- il 10% della popolazione mondiale più ricca consuma il 39% dell’energia totale prodotta e che questa quantità è 20 volte maggiore di quella consumata dal 10% più povero (che consuma circa il 2 % del totale);
- nel settore dei trasporti si evidenzia la maggiore differenza tra classi sociali: i ricchi consumano 187 volte in più e poveri.
Questi risultati sono in linea con precedenti studi fatti nel 20155 che affermavano che il 10% più ricco della popolazione mondiale e responsabile della meta delle emissioni totali.
Oltre ai sopracitati dati relativi ai consumi di questi filantropi, dobbiamo anche e soprattutto aggiungere le più gravi responsabilità che gli stessi hanno in quanto proprietari di grandi aziende per quanto riguardo lo sfruttamento dei lavoratori, le produzioni inquinanti ed emissioni di gas serra.
Il già citato Bezos, con la sua Amazon e una dei campioni in questa dannata classifica, infatti nella sua azienda i lavoratori sono soggetti a ritmi e condizioni di lavoro infami. Inoltre, lo stesso è stato anche molto criticato, nonostante le sue laute donazioni, per l’azione limitata che Amazon svolge nel ridurre le sue emissioni.
Ma allora, la domanda sorge spontanea: questi grandi benefattori che vogliono salvare milioni di vite umane, sostenere lo sviluppo in paesi arretrati e addirittura salvare il pianeta dagli effetti che il riscaldamento globale sta producendo, perché contrastano e si ribellano a tutte le proposte di una progressiva e regolare tassazione sui loro enormi profitti?
Le enormi risorse finanziarie che si potrebbero ricavare attraverso un sistema fiscale internazionale direttamente proporzionale alle disponibilità dei patrimoni dei singoli contribuenti, potrebbero finalmente garantire le risorse per sviluppare una transizione ecosostenibile.
Oppure dobbiamo pensare che questi filantropi finanziano e supportano con donazioni tutte queste attività non tanto per gli scopi dichiarati, quanto per intercettare l’interesse di altri interlocutori in modo che possano emergere altri sviluppi affini ai loro business o ad un loro specifico interesse?
La dimensione del disastro ambientale ha raggiunto dimensioni tali che solo un radicale cambiamento del sistema di produzione, causa principale d’attuale deriva distruttiva del nostro habitat planetario, potrà invertire la devastazione in atto. La pianificazione mondiale della produzione finalizzata ad un utilizzo efficiente delle risorse naturali ed indirizzata al benessere collettivo e degli ecosistemi, è l’azione principale da intraprendere per iniziare veramente a mitigare il cambiamento climatico prima che sia troppo tardi.
Non possiamo assolutamente affidarci al buon senso o alla responsabilità dei filantropi: il loro scopo sociale e salvaguardare i propri profitti e non il benessere collettivo!