di Michael Löwy
Riassunto:
Il sistema capitalista, che ha nella sua essenza la massimizzazione del profitto, noncurante dei costi sociali ed ecologici, è incompatibile con un futuro giusto e sostenibile. L’ecosocialismo offre una radicale alternativa che pone al primo posto il benessere sociale ed ecologico. Consapevole del legame stretto tra lo sfruttamento del lavoro e lo sfruttamento dell’ambiente, l’ecosocialismo si oppone sia all’ ”ecologia di mercato” riformista, sia al “produttivismo socialista”. Abbracciando un nuovo modello di pianificazione fortemente democratica, la società può prendere il controllo dei mezzi di produzione ed il proprio destino. Orari di lavoro più ridotti e una focalizzazione sui bisogni autentici rispetto al consumismo possono facilitare l’elevazione dell’ “essere”, rispetto all’ “avere”, e l’acquisizione di un senso più profondo della libertà per tutti e tutte. Per realizzare questa visione, tuttavia, ambientalisti e socialisti dovranno riconoscere la loro lotta comune e come questa si collega al più ampio “movimento dei movimenti” che cerca una Grande Transizione.
Introduzione:
La civiltà capitalistica contemporanea è in crisi. L’accumulazione illimitata di capitale, la mercificazione di tutto, lo sfruttamento spietato del lavoro e della natura e la concorrenza brutale che ne deriva minano le basi di un futuro sostenibile, mettendo così a rischio la sopravvivenza stessa della specie umana. La profonda e sistemica minaccia che dobbiamo affrontare richiede un profondo cambiamento sistemico: una Grande Transizione.
Nel sintetizzare i principi fondamentali dell’ecologia e la critica marxista dell’economia politica, l’ecosocialismo offre un’alternativa radicale a uno status quo insostenibile. Rifiutando una definizione capitalistica di “progresso” basata sulla crescita del mercato e sull’espansione quantitativa (che, come dimostra Marx, è un progresso distruttivo), sostiene politiche fondate su criteri non monetari, come i bisogni sociali, il benessere individuale e l’equilibrio ecologico. L’ecosocialismo propone una critica sia all'”ecologia di mercato”, che non mette in discussione il sistema capitalista, sia al “socialismo produttivista”, che ignora i limiti naturali.
Mentre la gente si rende sempre più conto di come le crisi economiche ed ecologiche si intrecciano, l’ecosocialismo sta guadagnando adepti. L’ecosocialismo, come movimento, è relativamente nuovo, ma alcuni dei suoi argomenti di base risalgono agli scritti di Marx ed Engels. Ora, intellettuali e attivisti stanno recuperando questa eredità e cercano una ristrutturazione radicale dell’economia secondo i principi della pianificazione ecologica democratica, mettendo al primo posto i bisogni umani e planetari.
I “sistemi socialisti realmente esistenti” del ventesimo secolo, le cui burocrazie hanno spesso trascurato l’ambiente, non offrono un modello attraente per gli eco-socialisti di oggi. Dobbiamo piuttosto tracciare un nuovo percorso, che si colleghi alla miriade di movimenti in tutto il mondo che condividono la convinzione che un mondo migliore non solo è possibile, ma anche necessario.
Pianificazione ecologica democratica
Il nucleo dell’ecosocialismo è il concetto di pianificazione ecologica democratica, in cui la popolazione stessa, non “il mercato” o un Politburo, prende le principali decisioni sull’economia. All’inizio della Grande Transizione a questo nuovo modo di vivere, con il suo nuovo modo di produzione e di consumo, alcuni settori dell’economia devono essere soppressi (ad esempio, l’estrazione di combustibili fossili implicati nella crisi climatica) o ristrutturati, mentre si sviluppano nuovi settori. La trasformazione economica deve essere accompagnata dalla ricerca attiva della piena occupazione a parità di condizioni di lavoro e di salario. Questa visione egualitaria è essenziale sia per costruire una società giusta, sia per ottenere il sostegno della classe operaia nella trasformazione strutturale delle forze produttive.
In definitiva, tale visione è inconciliabile con il controllo privato dei mezzi di produzione e del processo di pianificazione. In particolare, affinché gli investimenti e l’innovazione tecnologica siano al servizio del bene comune, le decisioni devono essere sottratte alle banche e alle imprese capitaliste che attualmente dominano, e rese di pubblico dominio. Poi, la società stessa, e non una piccola oligarchia di proprietari di immobili né un élite di tecno-burocrati, deciderà democraticamente quali linee produttive privilegiare e come investire le risorse nell’istruzione, nella sanità o nella cultura. Le principali decisioni sulle priorità di investimento – come la chiusura di tutti gli impianti a carbone o l’assegnazione di sussidi agricoli alla produzione biologica – saranno prese con voto popolare diretto. Altre decisioni meno importanti sarebbero prese da organi elettivi, su scala nazionale, regionale o locale.
Sebbene i conservatori abbiano paura della “pianificazione centrale”, la pianificazione ecologica democratica sostiene in ultima analisi più libertà, non meno, per diversi motivi. In primo luogo, essa offre la liberazione dalle “leggi economiche” reificate del sistema capitalista che incatenano gli individui in quella che Max Weber chiamava una “gabbia di ferro”. I prezzi dei beni non sarebbero lasciati alle “leggi della domanda e dell’offerta”, ma rifletterebbero invece le priorità sociali e politiche, con l’uso di tasse e sussidi per incentivare i beni sociali e disincentivare i mali sociali. Idealmente, con l’avanzare della transizione eco-socialista, un numero maggiore di prodotti e servizi critici per soddisfare i bisogni umani fondamentali verrebbe distribuito liberamente, secondo la volontà dei cittadini.
In secondo luogo, l’ecosocialismo annuncia un sostanziale aumento del tempo libero. La pianificazione e la riduzione dei tempi di lavoro sono i due passi decisivi verso quello che Marx chiamava “il regno della libertà”. Un aumento significativo del tempo libero è, infatti, una condizione per la partecipazione dei lavoratori alla discussione democratica e alla gestione dell’economia e della società.
Infine, la pianificazione ecologica democratica rappresenta l’esercizio della libertà di un’intera società di controllare le decisioni che influenzano il suo destino. Se l’ideale democratico non dovrebbe concedere il potere decisionale politico a una piccola élite, perché lo stesso principio non dovrebbe applicarsi alle decisioni economiche? Nel sistema capitalista, il valore d’uso – il valore di un prodotto o di un servizio per il benessere – esiste solo al servizio del valore di scambio, o del valore sul mercato. Così, molti prodotti nella società contemporanea sono socialmente inutili, o progettati per un rapido ricambio (“obsolescenza pianificata”). Al contrario, in un’economia ecosocialista pianificata, il valore d’uso sarebbe l’unico criterio per la produzione di beni e servizi, con conseguenze economiche, sociali ed ecologiche di vasta portata.
La pianificazione si concentrerebbe sulle decisioni economiche su larga scala, non su quelle su piccola scala che potrebbero interessare i ristoranti locali, le drogherie, i piccoli negozi o le imprese artigiane. È importante sottolineare che tale pianificazione è coerente con l’autogestione delle unità produttive da parte dei lavoratori. La decisione, per esempio, di trasformare uno stabilimento da produzione di automobili a produzione di autobus e tram sarebbe presa dalla società nel suo complesso, ma l’organizzazione interna e il funzionamento dell’impresa sarebbero gestiti democraticamente dai lavoratori. Si è discusso molto sul carattere “centralizzato” o “decentrato” della pianificazione, ma la cosa più importante è il controllo democratico a tutti i livelli: locale, regionale, nazionale, continentale o internazionale. Per esempio, le questioni ecologiche planetarie come il riscaldamento globale devono essere affrontate su scala globale, e quindi richiedono una qualche forma di pianificazione democratica globale. Questo processo decisionale democratico annidato è l’esatto opposto di quello che di solito viene descritto, spesso in modo sprezzante, come “pianificazione centrale”, poiché le decisioni non vengono prese da nessun “centro”, ma democraticamente decise dalla popolazione interessata alla scala appropriata.
Il dibattito democratico e pluralista si svolgerebbe a tutti i livelli. Attraverso i partiti, le piattaforme o altri movimenti politici, sarebbero presentate al popolo proposte diverse e i delegati sarebbero eletti di conseguenza. Tuttavia, la democrazia rappresentativa deve essere integrata – e corretta – da una democrazia diretta abilitata da Internet, attraverso la quale la gente sceglie – a livello locale, nazionale e, più tardi, globale – tra le principali opzioni sociali ed ecologiche. Il trasporto pubblico deve essere gratuito? I proprietari di automobili private devono pagare tasse speciali per sovvenzionare il trasporto pubblico? L’energia solare dovrebbe essere sovvenzionata per competere con l’energia fossile? La settimana lavorativa dovrebbe essere ridotta a 30 ore, 25 o meno, con conseguente riduzione della produzione?
Una pianificazione democratica di questo tipo ha bisogno del contributo di esperti, ma il suo ruolo è educativo, per presentare opinioni informate su risultati alternativi da sottoporre all’esame dei processi decisionali popolari. Che garanzia c’è che il popolo prenderà decisioni ecologicamente corrette? Nessuna. L’ecosocialismo scommette che le decisioni democratiche diventeranno sempre più ragionate e illuminate man mano che la cultura cambia e si rompe la morsa del feticismo delle merci. Non si può immaginare una società così nuova senza che la popolazione raggiunga, attraverso la lotta, l’auto-educazione e l’esperienza sociale, un alto livello di coscienza socialista ed ecologica. In ogni caso, le alternative – il mercato cieco o una dittatura ecologica degli “esperti” – non sono forse molto più pericolose?
La Grande Transizione dal progresso distruttivo capitalista all’eco-socialismo è un processo storico, una trasformazione rivoluzionaria permanente della società, della cultura e della mentalità. L’attuazione di questa transizione porta non solo a un nuovo modo di produzione e a una società egualitaria e democratica, ma anche a un modo di vita alternativo, a una nuova civiltà ecosocialista, al di là del regno del denaro, al di là delle abitudini di consumo prodotte artificialmente dalla pubblicità, e al di là della produzione illimitata di merci inutili e/o dannose per l’ambiente. Tale processo di trasformazione dipende dal sostegno attivo della stragrande maggioranza della popolazione a un programma ecosocialista. Il fattore decisivo per lo sviluppo della coscienza socialista e della coscienza ecologica è l’esperienza collettiva di lotta, dai confronti locali e parziali al cambiamento radicale della società globale nel suo complesso.
La questione della crescita
La questione della crescita economica ha diviso socialisti e ambientalisti. L’ecosocialismo, tuttavia, rifiuta il quadro dualistico della crescita contro la decrescita, dello sviluppo contro l’antisviluppo, perché entrambe le posizioni condividono una concezione puramente quantitativa delle forze produttive. Una terza posizione risuona maggiormente nel compito che ci attende: la trasformazione qualitativa dello sviluppo.
Un nuovo paradigma di sviluppo significa porre fine all’enorme spreco di risorse sotto il capitalismo, spinto dalla produzione su larga scala di prodotti inutili e nocivi. L’industria delle armi è, naturalmente, un esempio drammatico, ma, più in generale, lo scopo primario di molte delle “merci” prodotte – con la loro obsolescenza pianificata – è quello di generare profitto per le grandi imprese. Il problema non è il consumo eccessivo in astratto, ma il tipo di consumo prevalente, basato com’è su enormi sprechi e sulla ricerca cospicua e compulsiva di novità promosse dalla “moda”. Una nuova società orienterebbe la produzione verso il soddisfacimento di bisogni autentici, tra cui l’acqua, il cibo, l’abbigliamento, l’abitazione e i servizi di base come la salute, l’istruzione, i trasporti e la cultura.
Ovviamente, i paesi del Sud del mondo, dove queste esigenze sono molto lontane dall’essere soddisfatte, devono perseguire un maggiore “sviluppo” classico: ferrovie, ospedali, sistemi fognari e altre infrastrutture. Tuttavia, piuttosto che emulare il modo in cui i paesi ricchi hanno costruito i loro sistemi produttivi, questi paesi possono perseguire lo sviluppo in modi molto più rispettosi dell’ambiente, compresa la rapida introduzione delle energie rinnovabili. Mentre molti Paesi più poveri dovranno espandere la produzione agricola per nutrire le popolazioni affamate e in crescita, la soluzione ecosocialista è quella di promuovere metodi agroecologici radicati nelle unità familiari, nelle cooperative o nelle fattorie collettive su più larga scala, non i distruttivi metodi agroindustriali industrializzati che prevedono l’uso intensivo di pesticidi, prodotti chimici e OGM.
Allo stesso tempo, la trasformazione ecosocialista porrebbe fine all’odioso sistema di indebitamento che il Sud del mondo si trova ora a dover affrontare per lo sfruttamento delle sue risorse da parte di paesi industriali avanzati e di paesi in rapido sviluppo come la Cina. Possiamo invece immaginare un forte flusso di assistenza tecnica ed economica dal Nord al Sud, radicato in un forte senso di solidarietà e nel riconoscimento che i problemi planetari richiedono soluzioni planetarie. Ciò non implica necessariamente che le persone nei Paesi ricchi “riducano il loro tenore di vita”, ma solo che evitino il consumo ossessivo, indotto dal sistema capitalistico, di merci inutili che non soddisfano i bisogni reali o che non contribuiscono al benessere e alla prosperità umana.
Ma come si fa a distinguere le esigenze autentiche da quelle artificiali e controproducenti? In misura considerevole, questi ultimi sono stimolati dalla manipolazione mentale della pubblicità. Nelle società capitalistiche contemporanee, l’industria pubblicitaria ha invaso tutte le sfere della vita, dando forma a tutto, dal cibo che mangiamo e dai vestiti che indossiamo allo sport, alla cultura, alla religione, alla politica. La pubblicità promozionale è diventata onnipresente, infestando insidiosamente le nostre strade, i paesaggi e i media tradizionali e digitali, plasmando abitudini di consumo vistoso e compulsivo. Inoltre, la stessa industria pubblicitaria è fonte di un notevole spreco di risorse naturali e di tempo di lavoro, in ultima analisi pagato dal consumatore, per un ramo della “produzione” che è in diretta contraddizione con le reali esigenze socio-ecologiche. Pur essendo indispensabile per l’economia di mercato capitalista, l’industria pubblicitaria non avrebbe posto in una società in transizione verso l’ecosocialismo; sarebbe sostituita da associazioni di consumatori che controllano e diffondono informazioni su beni e servizi. Mentre questi cambiamenti stanno già avvenendo in una certa misura, è probabile che le vecchie abitudini persisterebbero per alcuni anni, e nessuno ha il diritto di dettare i desideri della gente. L’alterazione dei modelli di consumo è una sfida educativa continua all’interno di un processo storico di cambiamento culturale.
Una premessa fondamentale dell’ecosocialismo è che in una società senza nette divisioni di classe e alienazione capitalistica, l'”essere” avrà la precedenza sull'”avere”. Invece di cercare beni infiniti, le persone perseguono un tempo libero più ampio, e le conquiste personali e il significato che esso può portare attraverso attività culturali, atletiche, ludiche, scientifiche, erotiche, artistiche e politiche. Non vi è alcuna prova che l’acquisizione compulsiva derivi dalla “natura umana” intrinseca, come suggerisce la retorica conservatrice. Piuttosto, è indotta dal feticismo merceologico insito nel sistema capitalistico, dall’ideologia dominante e dalla pubblicità. Ernest Mandel riassume bene questo punto critico: “L’accumulazione continua di sempre più merci […] non è affatto una caratteristica universale e persino predominante del comportamento umano. Lo sviluppo dei talenti e delle inclinazioni per il loro stesso bene; la protezione della salute e della vita; la cura dei bambini; lo sviluppo di ricche relazioni sociali […] diventano motivazioni importanti una volta soddisfatti i bisogni materiali di base.
Naturalmente, anche una società senza classi si trova ad affrontare conflitti e contraddizioni. La transizione verso l’ecosocialismo si scontrerebbe con le tensioni tra le esigenze di protezione dell’ambiente e la soddisfazione dei bisogni sociali; tra gli imperativi ecologici e lo sviluppo delle infrastrutture di base; tra le abitudini di consumo popolare e la scarsità di risorse; tra gli impulsi comunitari e cosmopoliti. Le lotte tra desideri concorrenti sono inevitabili. Quindi, soppesare e bilanciare tali interessi deve diventare il compito di un processo di pianificazione democratica, liberato dagli imperativi del capitale e del profitto, per trovare soluzioni attraverso un discorso pubblico trasparente, plurale e aperto. Una tale democrazia partecipativa a tutti i livelli non significa che non ci saranno errori, ma permette l’autocorrezione dei propri errori da parte dei membri della collettività sociale.
Radici Intellettuali
Sebbene l’ecosocialismo sia un fenomeno abbastanza recente, le sue radici intellettuali possono essere fatte risalire a Marx e Engels. Poiché le questioni ambientali non erano così salienti nel XIX secolo come nella nostra epoca di incipiente catastrofe ecologica, queste preoccupazioni non hanno avuto un ruolo centrale nelle opere di Marx ed Engels. Ciononostante, i loro scritti utilizzano argomenti e concetti vitali per la connessione tra le dinamiche capitalistiche e la distruzione dell’ambiente naturale, e per lo sviluppo di un’alternativa socialista ed ecologica al sistema prevalente.
Alcuni passaggi di Marx ed Engels (e certamente delle correnti marxiste dominanti che ne sono seguite) abbracciano una posizione acritica nei confronti delle forze produttive create dal capitale, trattando lo “sviluppo delle forze produttive” come il fattore principale del progresso umano. Tuttavia, Marx si opponeva radicalmente a quello che oggi chiamiamo “produttivismo”, la logica capitalistica per cui l’accumulazione di capitale, ricchezza e merci diventa fine a se stessa. L’idea fondamentale di un’economia socialista – in contrasto con le caricature burocratiche che hanno prevalso negli esperimenti “socialisti” del XX secolo – è quella di produrre valori d’uso, beni necessari per la soddisfazione dei bisogni umani, il benessere e la realizzazione. La caratteristica centrale del progresso tecnico per Marx non era la crescita indefinita dei prodotti (“avere”) ma la riduzione del lavoro socialmente necessario e il concomitante aumento del tempo libero (“essere”). L’enfasi di Marx sull’autosviluppo comunista, sul tempo libero per attività artistiche, erotiche o intellettuali – in contrasto con l’ossessione capitalista per il consumo di beni sempre più materiali – implica una decisa riduzione della pressione sull’ambiente naturale.
Al di là del presunto beneficio per l’ambiente, un contributo chiave di Marx al pensiero ecologico socialista è l’attribuzione al capitalismo di una spaccatura metabolica, cioè una perturbazione dello scambio materiale tra le società umane e l’ambiente naturale. La questione è discussa, tra l’altro, in un noto passaggio del Capitale:
“La produzione capitalista […] disturba l’interazione metabolica tra l’uomo e la terra, cioè impedisce il ritorno al suolo dei suoi elementi costitutivi consumati dall’uomo sotto forma di cibo e vestiti; quindi ostacola il funzionamento delle eterne condizioni naturali per la fertilità duratura del suolo. […] Ogni progresso nell’agricoltura capitalista è un progresso nell’arte, non solo di derubare il lavoratore, ma di rubare la terra […]. Più un paese […] si sviluppa sulla base di una grande industria, più questo processo di distruzione avviene rapidamente. La produzione capitalista […] si sviluppa solo […] minando contemporaneamente le fonti originarie di tutta la ricchezza, il suolo e il lavoratore.”
Questo importante passaggio chiarisce la visione dialettica di Marx sulle contraddizioni del “progresso” e sulle sue conseguenze distruttive per la natura in condizioni capitalistiche. L’esempio, naturalmente, si limita alla perdita di fertilità del suolo. Ma su questa base, Marx trae l’ampia intuizione che la produzione capitalistica incarna la tendenza a minare le “eterne condizioni naturali”. Da un simile punto di vista, Marx ribadisce la sua più familiare argomentazione che la stessa logica predatoria del capitalismo sfrutta e svilisce i lavoratori.
Mentre la maggior parte degli ecosocialisti contemporanei si ispira alle intuizioni di Marx, l’ecologia è diventata molto più centrale nella loro analisi e azione. Durante gli anni Settanta e Ottanta in Europa e negli Stati Uniti, un socialismo ecologico ha cominciato a prendere forma. Manuel Sacristan, un filosofo spagnolo dissidente-comunista, fondò nel 1979 la rivista ecosocialista e femminista Mientras Tanto, introducendo il concetto dialettico di “forze distruttive-produttive”. Raymond Williams, socialista britannico e fondatore degli studi culturali moderni, è stato uno dei primi in Europa a richiedere un “socialismo ecologicamente consapevole” e spesso si attribuisce il merito di aver coniato il termine stesso “ecosocialismo”. André Gorz, filosofo e giornalista francese, sosteneva che l’ecologia politica deve contenere una critica del pensiero economico e chiedeva una trasformazione ecologica e umanistica del lavoro. Il biologo americano Barry Commoner sosteneva che il sistema capitalista e la sua tecnologia – e non la crescita della popolazione – erano responsabili della distruzione dell’ambiente, il che lo portava a concludere che “una sorta di socialismo” era l’alternativa realistica.
Negli anni Ottanta, James O’Connor ha fondato l’influente rivista Capitalismo, Natura e Socialismo. La rivista si ispirava all’idea di O’Connor della “seconda contraddizione del capitalismo”. In questa formulazione, la prima contraddizione è quella marxista tra le forze e i rapporti di produzione; la seconda contraddizione sta tra il modo di produzione e le “condizioni di produzione”, in particolare lo stato dell’ambiente.
Una nuova generazione di eco-marxisti è apparsa negli anni 2000, tra cui John Bellamy Foster e altri in giro per la rivista Monthly Review, che hanno ulteriormente sviluppato il concetto marxiano di spaccatura metabolica tra le società umane e l’ambiente. Nel 2001, Joel Kovel e l’attuale autore hanno pubblicato “An Ecosocialist Manifesto”, che è stato ulteriormente sviluppato dagli stessi autori, insieme a Ian Angus, nel Manifesto Ecosocialista di Belem del 2008, che è stato firmato da centinaia di persone provenienti da quaranta paesi e distribuito al World Social Forum nel 2009. Da allora è diventato un importante riferimento per gli ecosocialisti di tutto il mondo.
Perché gli ambientalisti devono essere socialisti
Come questi e altri autori hanno dimostrato, il capitalismo è incompatibile con un futuro sostenibile. Il sistema capitalista, una macchina di crescita economica spinta dai combustibili fossili fin dalla Rivoluzione Industriale, è il principale responsabile del cambiamento climatico e della più ampia crisi ecologica sulla Terra. La sua logica irrazionale di espansione e di accumulo senza fine, di spreco di risorse, di consumo ostentato, di obsolescenza pianificata e di ricerca del profitto ad ogni costo sta portando il pianeta sull’orlo dell’abisso.
Il “capitalismo verde” – la strategia di ridurre l’impatto ambientale mantenendo le istituzioni economiche dominanti – offre una soluzione? L’implausibilità di un tale scenario di riforma politica è vista più vividamente nel fallimento di un quarto di secolo di conferenze internazionali per affrontare efficacemente il cambiamento climatico. Le forze politiche impegnate nell'”economia di mercato” capitalista che hanno creato il problema non possono essere la fonte della soluzione.
Ad esempio, alla conferenza sul clima di Parigi del 2015, molti Paesi hanno deciso di compiere seri sforzi per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2° C (idealmente avevano concordato un aumento sotto gli 1,5 ° C). Di conseguenza, si sono offerti volontari per attuare misure per ridurre le loro emissioni di gas serra. Tuttavia, non hanno messo in atto alcun meccanismo di applicazione, né ipotesi di conseguenze per la non conformità, quindi non c’è garanzia che un paese manterrà la parola data. Gli Stati Uniti, il secondo paese al mondo per emissioni di carbonio, sono ora gestiti da un negazionista del clima che ha escluso gli Stati Uniti dall’accordo. Anche se tutti i Paesi rispettassero i loro impegni, la temperatura globale aumenterebbe di 3° C o più, con il grande rischio di un cambiamento climatico terribile e irreversibile.
In definitiva, il difetto fatale del capitalismo verde sta nel conflitto tra la micro-razionalità del mercato capitalista, con il suo calcolo miope del profitto e della perdita, e la macro-razionalità dell’azione collettiva per il bene comune. La logica cieca del mercato resiste a una rapida trasformazione energetica che si allontana dalla dipendenza dai combustibili fossili in un’intrinseca contraddizione di razionalità ecologica. Il punto non è accusare i “cattivi” capitalisti ecocidi, in contrapposizione ai “buoni” capitalisti verdi; la colpa è di un sistema radicato in una competizione spietata e in una corsa al profitto a breve termine che distrugge l’equilibrio della natura. La sfida ambientale – costruire un sistema alternativo che rifletta il bene comune nel suo DNA istituzionale – è indissolubilmente legata alla sfida socialista.
Questa sfida richiede la costruzione di quella che E. P. Thompson ha definito una “economia morale” fondata su principi non monetari ed extra-economici, socio-ecologici e governata attraverso processi decisionali democratici. Molto più che una riforma incrementale, ciò che è necessario è l’emergere di una civiltà sociale ed ecologica che porti avanti una nuova struttura energetica e un insieme di valori e modi di vita post-consumatori. La realizzazione di questa visione non sarà possibile senza una pianificazione e un controllo pubblico sui “mezzi di produzione”, gli input fisici utilizzati per produrre valore economico, come le strutture, i macchinari e le infrastrutture.
Una politica ecologica che funzioni all’interno delle istituzioni e delle regole dell'”economia di mercato” non sarà in grado di affrontare le profonde sfide ambientali che ci attendono. Gli ambientalisti che non riconoscono come il “produttivismo” scaturisca dalla logica del profitto sono destinati a fallire – o, peggio, a essere assorbiti dal sistema. Gli esempi abbondano. La mancanza di una coerente posizione anticapitalista ha portato la maggior parte dei partiti verdi europei – soprattutto in Francia, Germania, Italia e Belgio – a diventare semplici partner “eco-riformatori” nella gestione social-liberale del capitalismo da parte dei governi di centro-sinistra.
Naturalmente, la natura non se la passava meglio sotto il “socialismo” sovietico, rispetto al capitalismo. In effetti, questo è uno dei motivi per cui l’ecosocialismo porta con sé un programma e una visione molto diversi dal cosiddetto “socialismo realmente esistente” del passato. Poiché le radici del problema ecologico sono sistemiche, l’ambientalismo deve sfidare il sistema capitalistico prevalente, e ciò significa prendere sul serio la sintesi del ventunesimo secolo tra ecologia e socialismo-ecosocialismo.
Perché i socialisti devono essere ambientalisti
È in gioco la sopravvivenza della società civile, e forse gran parte della vita sul Pianeta Terra. Una teoria socialista, o movimento, che non integra l’ecologia come elemento centrale del suo programma e della sua strategia è anacronistica e irrilevante.
Il cambiamento climatico rappresenta l’espressione più minacciosa della crisi ecologica planetaria, ponendo una sfida senza precedenti storici. Se si permette che le temperature globali superino i livelli preindustriali di oltre 2° C, gli scienziati prevedono conseguenze sempre più disastrose, come un innalzamento del livello del mare così grande da rischiare di sommergere la maggior parte delle città marittime, da Dacca in Bangladesh ad Amsterdam, Venezia o New York. Desertificazione su larga scala, perturbazione del ciclo idrogeologico e della produzione agricola, eventi meteorologici più frequenti ed estremi e perdita di specie sono tutti fenomeni che incombono. Assistiamo già ad un aumento medio di 1° C. Grazie a quale aumento di temperatura – 5, 6, o 7° C – raggiungeremo un punto critico oltre il quale il pianeta non potrà sostenere la vita della civiltà umana o addirittura diventerà inabitabile?
Particolarmente preoccupante è il fatto che gli impatti del cambiamento climatico si stanno accumulando a un ritmo molto più veloce di quanto previsto dagli scienziati del clima, che come quasi tutti gli scienziati tendono ad essere molto cauti. L’inchiostro non si asciuga subito su un rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico quando l’aumento degli impatti climatici lo fa sembrare troppo ottimistico. Dove una volta l’enfasi era posta su ciò che accadrà in un lontano futuro, l’attenzione si è rivolta sempre più a ciò che dobbiamo affrontare ora e negli anni a venire.
Alcuni socialisti riconoscono la necessità di incorporare l’ecologia, ma si oppongono al termine “ecosocialismo”, sostenendo che il socialismo include già l’ecologia, il femminismo, l’antirazzismo e altri fronti progressisti. Tuttavia, il termine ecosocialismo, suggerendo un cambiamento decisivo nelle idee socialiste, ha un importante significato politico. In primo luogo, riflette una nuova concezione del capitalismo come sistema basato non solo sullo sfruttamento ma anche sulla distruzione – la distruzione massiccia delle condizioni di vita sul pianeta. In secondo luogo, l’ecosocialismo estende il significato della trasformazione socialista al di là di un cambiamento di proprietà a una trasformazione civilizzatrice dell’apparato produttivo, dei modelli di consumo e dell’intero stile di vita. In terzo luogo, il nuovo termine sottolinea la visione critica che abbraccia gli esperimenti del ventesimo secolo in nome del socialismo.
Il socialismo del XX secolo, nelle sue tendenze dominanti (socialdemocrazia e comunismo di stampo sovietico), era, nel migliore dei casi, disattento all’impatto umano sull’ambiente e, nel peggiore dei casi, assolutamente sprezzante. I governi adottarono e adattarono l’apparato produttivo capitalista occidentale in un tentativo a capofitto di “sviluppo”, mentre erano largamente ignari dei profondi costi negativi sotto forma di degrado ambientale.
L’Unione Sovietica è un esempio perfetto. I primi anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre si è sviluppata una corrente ecologica e sono state, infatti, messe in atto una serie di misure per la protezione dell’ambiente. Ma alla fine degli anni Venti, con il processo di burocratizzazione stalinista in corso, si imponeva nell’industria e nell’agricoltura, con metodi totalitari, un produttivismo senza riguardo per l’ambiente, mentre gli ecologisti venivano emarginati o eliminati. L’incidente di Chernobyl del 1986 è un drammatico emblema delle disastrose conseguenze a lungo termine.
Cambiare chi possiede una proprietà senza cambiare il modo in cui la proprietà viene gestita è un vicolo cieco. Il socialismo deve porre la gestione democratica e la riorganizzazione del sistema produttivo al centro della trasformazione, insieme a un fermo impegno per una gestione ecologica. Non solo socialismo o ecologia, ma ecosocialismo.
Ecosocialismo e una grande transizione
La lotta per il socialismo verde a lungo termine richiede una lotta per riforme concrete e urgenti a breve termine. Senza illusioni sulle prospettive di un “capitalismo pulito”, il movimento per un cambiamento profondo deve cercare di ridurre i rischi per le persone e per il pianeta, guadagnando tempo per costruire il sostegno a un cambiamento più fondamentale. In particolare, la battaglia per costringere i poteri a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra rimane un fronte chiave, insieme agli sforzi locali per passare a metodi agroecologici, all’energia solare cooperativa e alla gestione comunitaria delle risorse.
Queste lotte concrete e immediate sono importanti di per sé, perché le vittorie parziali sono vitali per combattere il degrado ambientale e la disperazione per il futuro. A lungo termine, queste campagne possono contribuire a far crescere la coscienza ecologica e socialista e a promuovere l’attivismo dal basso. Sia la consapevolezza che l’auto-organizzazione sono precondizioni e fondamenta decisive per trasformare radicalmente il sistema mondiale. L’amplificazione di migliaia di sforzi locali e parziali in un movimento sistemico globale, apre la strada a una Grande Transizione: una nuova società e un nuovo modo di vivere.
Questa visione infonde l’idea popolare di un “movimento di movimenti”, nato dal movimento per la giustizia globale e dai Forum sociali mondiali e che per molti anni ha favorito la convergenza dei movimenti sociali e ambientali in una lotta comune. L’ecosocialismo è solo una corrente all’interno di questo flusso più ampio, senza alcuna pretesa che sia “più importante” o “più rivoluzionario” di altri. Una tale rivendicazione competitiva genera una polarizzazione, risultando controproducente, quando ciò che serve è l’unità.
L’ecosocialismo mira piuttosto a contribuire a un ethos condiviso dai vari movimenti per una Grande Transizione. L’ecosocialismo si considera parte di un movimento internazionale: poiché le crisi ecologiche, economiche e sociali globali non conoscono confini, anche la lotta contro le forze sistemiche che guidano queste crisi deve essere globalizzata. Molte intersezioni significative stanno emergendo tra l’ecosocialismo e altri movimenti, compresi gli sforzi per collegare l’ecofemminismo e l’ecosocialismo come convergenti e complementari. Il movimento per la giustizia climatica unisce l’antirazzismo e l’ecosocialismo nella lotta contro la distruzione delle condizioni di vita delle comunità che soffrono di discriminazione. Nei movimenti indigeni, alcuni leader sono ecosocialisti, mentre, a loro volta, molti ecosocialisti vedono lo stile di vita indigeno, fondato sulla solidarietà comunitaria e sul rispetto per Madre Natura, come un’ispirazione per la prospettiva ecosocialista. Allo stesso modo, l’ecosocialismo trova voce all’interno dei movimenti contadini, sindacali, della decrescita e di altri movimenti.
Il movimento di unione dei movimenti cerca un cambiamento di sistema, convinto che un altro mondo sia possibile al di là della mercificazione, della distruzione ambientale, dello sfruttamento e dell’oppressione. Il potere delle élite al potere è innegabile, e le forze di opposizione radicale rimangono deboli. Ma stanno crescendo, e sono la nostra speranza di fermare il corso catastrofico della “crescita” capitalistica. L’ecosocialismo contribuisce ad alimentare una prospettiva importante per alimentare la comprensione e la strategia di questo movimento per una Grande Transizione.
Walter Benjamin ha definito le rivoluzioni non come la locomotiva della storia, come direbbe Marx, ma come l’umanità che cerca il freno di emergenza prima che il treno cada nell’abisso. Mai come ora abbiamo avuto bisogno di questa leva, per posare un nuovo binario verso una destinazione diversa. L’idea e la pratica dell’ecosocialismo possono aiutare a guidare questo progetto storico mondiale.